mercoledì 11 dicembre 2013

La Doccia - capitolo 3






Li riaprì sotto una luce intensissima, tanto intensa da rendermi cieco. Era il Sole. Semplicemente il Sole, sopra un cielo luminosissimo e senza nuvole. Mi rialzai lentamente e coprendomi gli occhi con una mano mi guardai intorno. Stavolta non ero sperduto nel nulla, poco lontano vedevo un piccolo paesino sulla riva del mare. Proveniva un gran casino dal paesino, una banda suonava e si sentivano risate, grida e canti. L’esatto contrario della foresta, pensai. Decisi di andare a dare un’occhiata, se ero lì per un motivo ero ben intenzionato a scoprirlo. Arrivato in paese capii che era in festa, in festa per cosa non l’ho mai scoperto. Era l’apoteosi della vita: ogni abitante, dai ragazzini agli anziani, dalle giovani coppiette alle intere, numerose famiglie del paese erano per le strade a festeggiare, ognuno a modo loro. Sentii anche un forte odore di cannabis. E’ un modo anche quello, dopotutto. Camminai per le vie festanti. Ogni volto era raggiante e sorridente, illuminato da una felicità semplice, sincera. Non vidi avidità, cupidigia o bramosia nello sguardo di nessuno. Erano vestiti in maniera molto semplice eppure dignitosa, erano poveri eppure avevano molto più di me. C’era uno strano calore nell’aria che mi riscaldò l’animo e mi ritrovai a sorridere beota, senza un particolare motivo. Attraversai le strette vie del paese facendomi strada tra la piccola folla del paesino e giunsi al suo limitare, dove dopo poche centinaia di metri si trova il mare. Vidi un piccolo sentiero che sembrava portarvici e decisi di seguirlo, spinto dalla voglia di vedere il mare. Seguendo il piccolo sentiero ciottolato e brullo notai delle piccole barche a remi arenate sulla spiaggia, lì da chissà quanto, consumate dal vento e dal sole. Quando arrivai sulla spiaggia tutti i suoni del paesino sembravano lontanissimi, non ne giungeva che un lontano eco, udibile quasi a stento. Mi sedetti sulla sabbia calda e osservai il luminoso mare, senza un particolare pensiero in mente. Dopo un po’ notai che c’era un piccolo molo in legno che si sporgeva sul mare e una figura lì seduta. La figura dava le spalle alla spiaggia ed era intenta ad osservare il mare, immobile. Era una donna, vestita con abiti semplici e dai lunghi capelli castani, si sarebbe detto quasi di mezz’età. Incuriosito mi ci avvicinai. Le vecchie assi del molo scricchiolarono rumorosamente sotto i miei passi, eppure la donna non mosse neanche un muscolo. In silenzio mi sedetti al suo fianco e la guardai in volto. Il suo volto era segnato dagli anni eppure era una bella donna,il suo volto trasudava una forte malinconia. Non dissi nulla per un po’, mi limitai a guardare nella direzione del suo sguardo cercando di capire cosa guardava con tanta intensità. Poi, dopo aver constatato che nulla appariva all’orizzonte, decisi di parlare. Le chiesi cosa faceva lì, visto che tutti gli altri erano in paese a festeggiare Dio solo sa cosa. La donna non rispose. Riprovai con un’altra domanda, chiedendole cosa stesse guardando. Di nuovo non rispose. Insistetti, domandandole se avesse voglia di venire con me a mostrarmi il paese e a festeggiare insieme a tutti gli altri. La donna non mi sentiva nemmeno. Si limitava a fissare l’orizzonte, come in attesa di qualcosa, o qualcuno. Mi domandai se sentisse la musica, le risate e le grida provenienti dal paese. Probabilmente le sentiva, ma non le ascoltava. Così come non ascoltava me, e, immagino, tante altre persone venute prima di me. Decisi di non insistere ulteriormente, rimasi ancora un po’ in silenzio a guardare l’orizzonte, poi mi alzai lentamente e me ne andai, incamminandomi verso il paese. Mi voltai qualche volta a guardarla ed era sempre lì, immobile. Mi domandai se perfino si fosse resa conto che fossi stato lì. Questo incontro mi aveva reso malinconico, quali eventi l'avevano portata su quel molo? Ebbi la sensazione che in qualche modo dovevo intuire qualcosa da quell'incontro, come se fosse una chiave alla soluzione dello strano enigma in cui mi ero ritrovato. L'unica cosa che mi venne in mente fu che forse il motivo per cui lei era su quel molo fosse più o meno lo stesso che mi portò nella doccia. Non eravamo poi così diversi, a pensarci. Una strana panico nacque dal profondo del mio cuore: qualunque cosa fosse successa, non sarei voluto finire così, a fissare l'orizzonte ammutolito, sordo alla musica della festa. Decisi dunque ti fare ritorno alla festa e divertirmi, senza pensare a niente. Mi mossi a gran passi in direzione del paese e come prima cosa decisi di recarmi ad un'osteria, per farmi un bicchierino. Ne vidi uno in un viottolo parallelo alla strada principale che portava all'uscita del paese e al mare. Entrai e trovai un'atmosfera molto calorosa: uomini di tutte le età erano lì riuniti per brindare a chissà cosa, forse al semplice fatto di essere lì a brindare. Dopotutto che motivo ci deve essere per festeggiare se non la festa stessa? Un uomo sulla sessantina mi scorse e mi invitò a gran voce ad unirmi a loro, ed altri se ne aggiunsero a darmi il benvenuto. Non mi feci certo pregare: chiesi all'oste la stessa cosa che stavano bevendo gli altri e mi unii a loro nei canti, nelle risate e nelle chiacchiere. Erano molto incuriositi da me, a quanto pare non avevano mai visto molti forestieri e mi fecero molte domande. E' sempre interessante il modo in cui una persona molto distante da noi veda la vita. Parlai soprattutto con l'uomo che per primo mi invitò ad unirmi a loro, parlammo molto a lungo di tante cose. Si stupì molto della mia visione nichilistica delle cose, a loro il nichilismo non era mai venuto in mente, diceva. Non aveva mai sperimentato la noia o il vuoto. Certo, aveva anche lui i suoi problemi, ma non si era mai ritrovato in un vortice ciclico di giorni tutti uguali, senza sorprese, senza nemmeno poi tante difficoltà. Capii in quel momento che anche le difficoltà nella vita aiutano ad essere felici, le danno quel gusto in più, che sia la soddisfazione di essere riuscito a riparare il lavandino con le proprie mani oppure di aver imparato a fare qualcosa di veramente complicato. Forse nel mio mondo, per quanto riguarda le cose pratiche, era tutto troppo facile: per poter sopravvivere mi bastava andare a tavola quando era pronto, aprire una bottiglia d'acqua quando avevo sete e dormire quando avevo sonno. Quell'uomo, invece, nonostante si spezzasse la schiena ogni giorno per poter sopravvivere mi sembrava l'uomo più felice di questo mondo. Parlammo ancora a lungo, quando ad un tratto decisi di soddisfare la mia curiosità e gli domandai della donna del molo. Un guizzo di dolore mosse il suo volto come una breve ma forte scarica elettrica, poi divenne serio. Mi raccontò che un giorno, molti anni prima, un ciarlatano le fece una profezia: una mattina di non si sa quando, dal mare sarebbe disceso un angelo che l'avrebbe portata via da quel piccolo, noioso villaggio per portarla sulle stelle. Da allora lei stette lì, aspettando quell'angelo che non arrivò mai. Quella donna era sua figlia. Lo guardai costernato, in silenzio. Socchiusi la bocca come per dire qualcosa, ma il suo sguardo mi fece capire che non c'era niente da fare. Intuì che lei fosse consapevole che non sarebbe mai arrivato nessuno, ma trovò più facile cullarsi nella cieca speranza piuttosto che attraversare lei il mare e andare a cercarlo. Così non dissi più nulla, mi limitai a sorridergli mesto, poi gli strinsi la mano, lo abbracciai e mi diressi fuori, salutando tutti: ero pronto a tornare a casa. Avevo capito il motivo che mi portò lì, dentro quella doccia, isolato dal mondo esterno: stavo sbagliando strada, dovevo assolutamente prenderne un'altra. La strada che avevo intrapreso era come un binario morto di un treno, andava avanti per molto ma non conduceva da nessuna parte. Attraversai di corsa le vie del paese per tornare da dove ero venuto, dall'altra parte rispetto al mare, tuttavia ricordai che c'era una cosa da fare, prima di andare via, così cambiai direzione e mi diressi verso la spiaggia. Lei era ancora lì, esattamente come l'avevo lasciata. Mi avvicinai e mi sedetti nuovamente al suo fianco. La guardai negli occhi, posandole una mano sulla spalla, e dissi una cosa sola: "grazie". Stavolta, incredibilmente, ebbe una reazione, un piccolo sussulto, poi si voltò a guardarmi incredula. Non aggiunsi niente, le sorrisi e me ne andai. Ora che non mi restava più niente da fare in quel piccolo paesino mi diressi senza fare deviazioni al luogo in cui mi ero risvegliato, in modo che chiudendo gli occhi sarei tornato alla doccia. Così non fu.

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