venerdì 13 dicembre 2013

La Doccia - capitolo 4 (ed ultimo)



Chiusi gli occhi e quando li riaprii mi ritrovai nuovamente nella foresta di poco tempo prima. La situazione sembrava cambiata: se durante la mia prima venuta il cielo poteva definirsi opprimente, ora sembrava decisamente minaccioso. Grosse nuvole nere marciavano sul cielo come eserciti che sparavano tuoni e fulmini. C'era un forte vento che sollevava un gran polverone, era fastidioso tenere gli occhi aperti. Guardandomi intorno potei constatare che mi trovavo più o meno nello stesso punto in cui mi risvegliai la prima volta. Non era esattamente lo stesso, però, era differente principalmente per due particolari: poco distante da dove mi trovavo c'era una sagoma rettangolare, coperta da un telo nero, con al suo fianco la statua vivente della radura. Come la prima volta aprì gli occhi quando mi avvicinai e parlò immediatamente: "sono felice di constatare che hai capito il perché tu sia qui. Tuttavia non pensare di poter tornare a casa così facilmente". Queste parole mi misero una tensione fortissima, percepii una velata minaccia nella sua voce che mi fece pensare che sarebbe stato lui a bloccarmi la strada del ritorno. Non si trattava di niente di così semplice. "Ora avrai la possibilità di compiere una scelta, una scelta molto importante" continuò la statua. "Avrai la possibilità di scegliere se tornare alla doccia e rimanervi per tutta la vita oppure lottare per tornare a casa." Così dicendo tolse il telone scoprendo una copia perfetta della doccia. Lo fissai in silenzio, chiedendomi dove volesse arrivare a parare. "Se decidi di fermarti qui ed entrare in questa doccia, non avrai più la possibilità di uscirne. Dall'altra parte della foresta, nella radura dove ci incontrammo l'altra volta, troverai una seconda doccia. Quella ti riporterà a casa" Appena terminò di pronunciare la frase sorrisi felice e tirai un sospiro di sollievo, la statua però mi fulminò con lo sguardo e il mio sorriso si spense. "Non credere che sarà una piacevole passeggiata come la scorsa volta", annunciò con voce grave. "Qualunque cosa incontrerai nel cammino cercherà in tutti i modi di fermarti. Gli animali, il cielo e la foresta stessa saranno contro di te. Dovrai correre come il vento senza mai voltarti indietro, oppure morirai. Puoi scegliere se non correre nessun pericolo e rimanere sospeso in un limbo, una pseudo vita senza nessuna prospettiva, nessuna speranza e nessuna uscita, oppure lottare per tornare alla tua vita e farne ciò che preferisci". Non riuscii a dire nulla. Sentivo in lontananza ululare, ringhiare e scalpitare e l'unica cosa che riuscivo a fare era fissarlo sgomento. Perché doveva essere così difficile? Poi mi tornò in mente ciò che avevo pensato mentre parlavo con l'uomo dell'osteria: "anche le difficoltà nella vita aiutano ad essere felici". Una vita chiuso in una doccia, anche con tutti quegli strani shampoo e bagnoschiuma che ti fanno viaggiare in posti sconosciuti, non avrebbe avuto alcun senso. Decisi quindi di rischiare per darglielo io stesso, di attraversare l'immenso mare tempestoso alla ricerca dell'angelo. Lui sembrò essersi accorto della risoluzione nel mio sguardo, e annuì con la testa, sorridendo. Poi disse: "se non avessi compiuto questa scelta, tutto ciò che hai imparato fino ad oggi sarebbero solo parole vuote, senza significato. L'ultima prova consiste nel metterle in pratica. Poi qualunque difficoltà incontrerai nella vita sarai in grado di affrontarla. Magari non di vincerla, ma affrontarla. Ci vuole un grande coraggio a scegliere di vivere fino in fondo la propria vita, sono in molti che decidono di non farlo per poi finire qui, ma sono sicuro che non ci rivedremo mai più, io e te. La felicità è un bene prezioso, e come ogni cosa preziosa non si trova certo nell'orto. Vai, e non ti voltare: loro arriveranno presto. Corri". Senza farmelo ripetere due volte annuì veemente e iniziai a correre. Dopo poco ripensai alle sue parole e mi chiesi a chi, o cosa, si riferisse con quel "loro". Non tardai certo a scoprirlo. Dopo poche centinaia di metri iniziai a sentire degli ululati intorno a me, dapprima lontani e attutiti, poi sempre più vicini. Infine, eccoli. Saranno stati almeno una dozzina ed erano grossi come vitelli, sembravano usciti dal più profondo e meschino girone degli inferi. Avevano più o meno l'aspetto di lupi, ma erano più robusti e muscolosi, con occhi ardenti come braci e le zanne grosse come coltelli. Non erano certo lì per fare una passeggiata. Erano lì per fermare me. Erano dannatamente veloci e poco dopo mi erano già alle calcagna, sentivo il loro fiato caldo e maleodorante sul collo e ogni tanto qualche artigliata fendeva l'aria e mi lacerava i vestiti. Non ricordo di essere mai stato così terrorizzato in vita mia. Cercai di lanciargli contro ogni cosa incontravo per strada, che fossero  rocce, rami o bastoni, ma non li rallentavano nemmeno. Ero disperato: dopo tutta la mia risoluzione sarebbe finita così? Altri due si aggiunsero a quelli già presenti, la situazione era sempre più disperata. Il primo cercò di saltarmi addosso per buttarmi a terra, ma riuscii a vederlo con la coda dell'occhio e mi abbassai in tempo, facendolo passare sopra la mia testa. Andò a sbattere contro un altro e iniziarono a litigare e a scannarsi tra loro, un bel colpo di fortuna. Tuttavia la fortuna durò poco: anche il secondo passò all'attacco e con un fendente mi colpì alla schiena, lacerandomi con i suoi artigli affilati. Il colpo mi fece cadere in avanti e feci un paio di capriole, tuttavia non persi velocità e riuscì incredibilmente a riprendere la corsa senza fermarmi. Sentivo che non potevo correre ancora per molto: il colpo e la lunga corsa mi avevano completamente spezzato il fiato. Le bestie erano ancora numerose e non credo avrebbero avuto il fiato corto per un bel po', così prima che potessero travolgermi mi arrampicai sopra un albero per salvarmi. Mi sedetti sopra un alto ramo e subito le bestie circondarono l'albero, in modo da rendermi impossibile scendere. Eccomi di nuovo bloccato. Ripresi fiato a lungo, sperando che si sarebbero stancati e se ne sarebbero andati, tuttavia non si mossero da sotto l'albero. Non potevo restare lì sopra per sempre, dovevo trovare un modo per liberarmi di loro. Mi guardai intorno in cerca di una via d'uscita e scorsi in lontananza un enorme roveto, fitto e acuminato, dove le grosse bestie non avrebbero potuto seguirmi. Era molto, troppo distante. Ero ferito e sicuramente mi avrebbero ucciso prima di riuscire ad avvicinarmici. Poi un tuono fermò i miei pensieri: un fulmine colpì un ramo vicino al mio, che prese subito fuoco. Lì ebbi un'intuizione: il fuoco avrebbe potuto tenere le bestie alla larga abbastanza da farmi raggiungere il roveto. Era solo un'idea, ma decisi di provare. Spezzai un grosso e robusto ramo e ne misi un'estremità sul fuoco, in modo da creare una torcia. Senza pensarci due volte mi lanciai giù e iniziai subito a correre e le bestie si lanciarono immediatamente al mio inseguimento. Roteando il bastone infuocato riuscì a tenerle alla larga, colpendone anche alcune. Le altre presero quindi più distanza per evitare di finire nel raggio d'azione del mio bastone. Il roveto era sempre più vicino quando all'improvviso, dopo tanto roteare, il fuoco si spense e le bestie ne approfittarono subito per riavvicinarsi. Mancavano pochi metri quando arrivò un secondo fendente, stavolta alla spalla sinistra, che mi scaraventò a terra. "E' la fine", pensai. Le bestie fameliche mi circondarono digrignando i denti e pronte a saltarmi al collo, creando un largo cerchio intorno a me. Fu un momento strano. Non ci fu nessun film della mia vita, probabilmente quel giorno le sale erano chiuse. Non pensai a niente, nonostante da lì a pochi istanti la mia mente avrebbe smesso per sempre di farlo non mi venne in mente niente, nemmeno una preghiera, o una maledizione. Mi limitai a fissare quelle orride bestie dritte nei loro fiammeggianti occhi, cercando perlomeno di andarmene con dignità. Che dignità ci fu in tutto ciò? All'improvviso un secondo fulmine cadde, proprio nello spazio tra me e loro, facendole trasalire e allontanare di qualche metro. La mia mente vuota fu come trapassata da quel fulmine, probabilmente non ci avrei fatto caso se fossi stato intento a guardare un film, dopotutto, noioso. Senza indugiare mi alzai e ripresi a correre, lanciandomi nel roveto. Le mostruose fiere furono scosse quel secondo in più che bastò ad avere un discreto vantaggio su di loro. Sentì delle fauci chiudersi a pochi centimetri del mio polpaccio, ma riuscì a gettarmi tra i grossi rami spinosi. Le bestie provarono ad entrare anch'esse ma non trovarono nessun varco, così rimasero appena fuori. Probabilmente avrebbero ben presto trovato un pertugio in cui entrare, per cui decisi di non soffermarmi troppo e proseguire. Il salto nel roveto mi lacerò tutto il corpo, specialmente le braccia, che misi a protezione davanti al volto. Ero totalmente distrutto, senza fiato e con le gambe doloranti per la lunga corsa. La radura era ancora piuttosto lontana ed ero certo che avrei trovato altre brutte sorprese più avanti. Mi allontanai con i loro ringhi di sottofondo, probabilmente imprecazioni, e attraversai di fretta il roveto deciso a farla finita. Poco dopo, incredulo, mi ritrovai di fronte ad un impetuoso fiume. Ero sicuro che l'altra volta non ci fosse, eppure era lì, spumeggiante rabbia. Non avevo altra scelta, dovevo attraversarlo. La corrente sembrava troppo forte da permettermi di guadarlo, dovevo trovare qualche soluzione. Provai ad entrare e muovere qualche passo, l'acqua mi arrivava poco più in alto della vita, ma era impossibile rimanere in piedi e non farsi trascinare. Era gelata come il più profondo girone infernale, ove tutto è ghiaccio, immobile e immutabile. Riuscì faticosamente a tornare sui miei passi e mi sedetti sulla sponda erbosa a riflettere sul da farsi. Notai parecchi grossi sassi sulla riva, pesanti almeno venti chili che potevano fare al caso mio. Pensai che l'unico modo per non farsi trascinare fosse quello di trasportare a braccia un grosso sasso, in modo da essere più pesante e stabile. Decisi di provare. Presi dunque un grosso sasso dalla forma ovale, parecchio pesante, e tenendolo ad altezza della vita mi immersi nel fiume. Notai che effettivamente riuscivo a camminare e a stare in piedi, però non ero sicuro di riuscire a portarlo per tutto il tempo della traversata. Affrettai il passo e giunto oltre la metà mi resi conto che l'acqua mi arrivava già al petto, era molto più difficile non farsi trascinare. All'improvviso la pietra mi scivolò dalle mani e cadde sul fondo, mancandomi di poco il piede. La corrente mi trascinò via subito nonostante tutti gli sforzi che feci per rimanere fermo. Provai a nuotare controcorrente ma il massimo che riuscì ad ottenere fu controbilanciare la spinta della corrente e non muovermi di un metro. Dovevo trovare un altro metodo. Se oppormi ad essa era inutile, forse assecondarla sarebbe servito a qualcosa. Provai dunque a lasciarmi andare e a muovermi in maniera obliqua, in modo da avvicinarmi sempre più all'altra sponda. Si rivelò un metodo efficace, ben presto mi ritrovai sull'altra riva, tuttavia il prezzo fu che nel frattempo la corrente mi aveva trascinato ben lontano da dove ero partito, e mi toccò camminare per tornare al punto di partenza. Rimaneva comunque un gran risultato: mi ritrovai sulla sponda opposta. Ero al limite delle forze ma mi sentivo purificato da quel bagno inaspettato. Ormai la radura doveva essere vicina, all'incirca un paio, o poco più, di chilometri. Sentirmi così vicino a casa rese la distanza molto più lunga, fu come se i chilometri si fossero moltiplicati. Avevo l'impressione di non muovermi affatto. Qualcosa intorno a me, tuttavia, si muoveva. Dapprima non ci feci molto caso, ma via via che i movimenti si fecero più evidenti e spavaldi notai che i rami degli alberi, già di per sé molto fitti, si intrecciavano e si infittivano, rendendo il passaggio sempre più difficoltoso. Ogni tanto qualcuno mi colpiva perfino, facevano un male cane. Mancavano poche centinaia di metri alla radura secondo i miei calcoli e la foresta sembrava richiudersi intorno a me. I rami erano sempre più fitti ed il passaggio era davvero difficoltoso, il buio sempre più intenso. Dovevo sbrigarmi, altrimenti non sarei più riuscito a passare. Iniziai a correre, incurante del movimento repentino dei rami, inciampando più volte. Iniziai a scorgere la luce che segnalava la tanto ricercata radura quando il movimento dei rami si fece ancor più violento, e il loro intreccio più fitto. Mi feci strada a forza, spezzando rami a destra e a manca, ma più ne spezzavo più ne comparivano.  Improvvisamente una mano lignea mi afferrò la caviglia e caddi in avanti, con le sue dita che stringevano sempre di più. Disperato iniziai a colpire con forza quella strana mano, che infine si ruppe e lasciò la presa. Nel frattempo, però, i rami si erano ulteriormente infittiti, e oramai, a pochi metri dalla salvezza, mi trovai di fronte ad una strada bloccata. Provai a spezzare qualche ramo ma erano duri come il ferro, impossibile farsi strada. In basso però vidi filtrare della luce, un raggio che filtrava da uno stretto passaggio a livello del terreno. Nonostante la mia claustrofobia provai il tutto per tutto e accovacciandomi strisciai per quello stretto passaggio. Ne uscì pochi metri dopo e mi ritrovai finalmente nella radura. Il viaggio mi aveva stremato e mi accasciai al suolo privo di forze. Non ero solo, tuttavia. La statua, non so come, era giunta lì prima di me, e venne in mio soccorso, sollevandomi e portandomi fino alla doccia. Non disse niente mentre mi aiutava ad entrare e a sedermi, mi diede solo una lieve pacca sulla spalla non ferita. Poi chiusi gli occhi e persi i sensi. Mi risvegliai inspiegabilmente nel mio letto. Avevo indosso il mio solito pigiama e guardando la sveglia elettronica sul comodino, regalo di mia zia, scoprii che era il mattino dopo la notte in cui trovai la doccia. Che fosse stato tutto uno strano sogno? Mi esaminai allo specchio e non vidi la minima traccia delle ferite infertemi dalle bestie nella foresta, né i lividi e i tagli. Sentii qualcosa dentro la tasca del pigiama, tuttavia, qualcosa di piccolo e solido. Ci infilai la mano ed estrassi una piccola, misteriosa ghianda. Decisi che non aveva importanza se fosse stato tutto un sogno o meno. Sperai solo che, se fosse stato effettivamente un sogno, sogni del genere non divenissero un’abitudine, pur essendomi appena svegliato ero incredibilmente esausto. Andai con calma in cucina e mi feci un caffè molto forte,  seguito naturalmente da una sigaretta. Guardando fuori dalla finestra vidi che era l’alba. L’alba di un nuovo, bellissimo giorno. Da allora faccio solo il bagno.
                                                                                                                                  

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