Le ore
passate a leggere e rileggere il diario di Philippe trascorrono silenziosamente
e senza posa, senza lasciare un particolare ricordo di sé alle spalle, come
giovani amici nei cui occhi si può scorgere qualche sfocata immagine di un
futuro lontano ma che non riescono a ricordare cosa hanno mangiato per pranzo. Le
prime pagine del diario non mi danno nessuna informazione nuova, devo
riconoscere che il racconto del vecchio Jacques, in quel infimo bar del porto,
era più preciso di quanto potesse sembrare, quasi l'avesse vissuto in prima
persona. Ogni tanto osservo furtivamente dalla finestra il gentiluomo nel
grande giardino di Veronique, non sorprendendolo mai intento a fare qualcosa,
bensì aspettando con compostezza e dignità il momento in cui, si suppone, verrà
a prendersi la mia vita. Inspiegabilmente, nonostante la sorda minaccia della
sua costante presenza, non riesco a provarne timore, né odio, né rabbia.
Solamente una sorta di calma accettazione, come se la sua presenza qui sia del
tutto naturale. Nel suo racconto Jacques accennava a qualcosa del genere, deve trattarsi
di una qualche sorta di abilità del misterioso gentiluomo. Verso l'ora di
pranzo Veronique fa una breve comparsata per pranzare insieme, come vip
attempati che cercano in tutti i modi di non farsi dimenticare, e con mio
grande sollievo porta anche del cibo per cani per Buck. Prepara un pasto
veloce, dei panini imbottiti con carne affumicata, mostarda e pomodori che gustiamo
con calma, parlando del più e del meno. "Hai scoperto qualcosa di
interessante nel diario di zio Phil?" domanda poi lei pacatamente, come se
parlasse del tempo. "Ancora niente che non sapessimo già", rispondo
io pragmatico, cercando di far sprofondare nelle profondità del mio animo la
frustrazione e la delusione di quella mattinata di infruttuosa ricerca.
"Non ti arrendere", proclama lei sicura, infondendomi forza e
coraggio, "non hai modo di sapere cosa stai cercando, ma vedrai che quando
lo troverai non potrai fare a meno di riconoscere che è proprio ciò che cercavi.
Continua a leggere, sento che è la cosa giusta da fare, forse l'unica che abbia
davvero senso." Rincuorato dalle sue parole, finisco di mangiare il panino
non pensando ad altro che a quel quaderno e alle sue risposte, così
intensamente che sento già le sue rigide pagine scorrermi fra le dita. "E'
ora che torni in negozio" mormora lei quasi malinconicamente, come ad
esprimere quanto vorrebbe essere al mio fianco anziché dietro ad un bancone,
nell'attesa di qualche cliente. Mi sono sempre domandato cosa facciano i
commessi quando non ci sono clienti in negozio, quasi fosse uno dei più grandi
misteri del cosmo. A volte me li immagino sospesi in una sorta di limbo, come
se prendano vita solo quando qualcuno li osserva. Sono quasi tentato di domandarglielo e
risolvere così un dubbio che probabilmente attanaglia solo me, tuttavia mi
limito a ricambiarle un delicato bacio sulla guancia, piacevole come una brezza
estiva. Ha un modo particolare di baciarmi la guancia, sebbene sia un gesto
molto casto e pudico, è al contempo più intimo e piacevole di qualunque bacio
sulle labbra che abbia mai ricevuto. Non che ne abbia ricevuti molti in vita
mia, per inteso. Il resto del pomeriggio trascorre anch'esso placidamente, senza
che riesca a scoprire qualcosa di importante dal diario di Philippe. Qualunque
cosa sia Veronique ha detto che l'avrei riconosciuta quando l'avrei trovata,
come il vero amore, per cui non posso fare altro che portare pazienza. Nell'intimità
della mia mente faccio un patto solenne con me stesso, ossia di smettere di
sbirciare il gentiluomo dalla finestra, per non farla diventare un'ossessione.
Dopotutto sarà lui a venire da me quando sarà il momento, quando tutta questa
assurda storia volgerà al termine, prima di allora non ha senso preoccuparmene.
All'imbrunire, quando l'ombra della grande quercia che si staglia solenne ma
rassicurante al centro del giardino diventa molto più alta della quercia
stessa, come fama che ingigantisce personaggi altrimenti mediocri, il rumore
metallico della chiave che gira nella serratura mi annuncia che Veronique è di
finalmente tornata. Non posso fare a meno di pensare che quella rigida
serratura, che ora si dimostra così sicura e precisa, perderà ogni sicurezza e
robustezza dinnanzi al gentiluomo, come artista tanto mediocre quanto borioso
perisce sotto le parole di critici senza scrupoli. Per quanto possa sembrare rassicurante, non
potrà impedirgli di entrare. Dopo aver aperto la porta, Veronique entra in casa
seguita da una figura più imponente, che sul momento non riesco a identificare,
come fosse attorniata da una fitta nebbia. "Eccoci arrivati" esclama
Veronique con voce entusiasta, quasi urlando, sempre illuminata da un
meraviglioso sorriso del quale non so se ingelosirmi o esserne felice, non
capendo se sia per lui o per me. L'uomo alle sue spalle avanza con un sorriso
sornione tendendomi la mano e non riesco a fare a meno di squadrarlo dalla
testa ai piedi, come a soppesarne la qualità. E' un uomo dal fisico robusto e
al contempo asciutto, piuttosto alto, all'apparenza della stessa età di lei. Indossa
un giaccone di cuoio marrone dall'aria piuttosto logora ma affascinante, con
sotto una spessa camicia a quadri. Scendendo con lo sguardo scopro dei vecchi
blue jeans scoloriti, diversi dai miei dal fatto che trasmettono la netta
impressione che siano scoloriti davvero per l'usura, non mi sembra il tipo da
comprarli già scoloriti. Infine degli scarponcini marroni in cuoio, anch'essi
piuttosto usurati. Soffermandomi sul suo viso incontro i suoi occhi, grigi e
freddi come il mare, e più in basso una barba incolta, che tuttavia lo rende
più interessante. L'uomo mi stringe amichevolmente la mano, presentandosi come
Jean. "E' il mio vecchio amico di cui ti parlavo", mormora sorridente
Veronique, forse a mettere le cose in chiaro. "Molto piacere",
esclama Jean con fare sornione, stringendomi la mano con forza che cerco in
ogni modo di eguagliare, senza riuscirci. Ci accomodiamo sul divano in attesa
che sia pronta la cena, sorseggiando due birre di importazione, quel tipo di
birre che si tengono da parte per indefinite occasioni speciali che forse non
giungeranno mai. "Quindi vai a caccia di tesori, vecchio mio?",
domanda lui con fare amichevole, tuttavia quasi invadente. La sua domanda mi
colpisce come un secchio di acqua gelata: Veronique ha condiviso con questo
tizio l'intimità del nostro tacito segreto, stracciando come un poster di una
band che ormai non si apprezza più la magia che ci univa. Pochi attimi di
silenzio bastano per far intuire al suo attento amico la mia delusione, che
tenta subito di rimediare dicendo "non te la prendere se mi ha detto tutta
la verità, una volta arrivati sull'isola e cercato il tesoro mi sarebbe sorto
qualche sospetto, non credi? Tanto valeva dirmelo subito. Inoltre ci conosciamo
da una vita, non abbiamo segreti l'uno per l'altra." Seppur infastidito
dall'ultima frase non posso fare a meno di dargli ragione. Veronique nel
frattempo ci chiama per la cena con un allegro scampanellio, dove continuiamo
il discorso. "Tra due giorni la tempesta sarà sparita del tutto, secondo
le previsioni. In tarda mattinata, quando tutte le altre barche saranno salpate
e ci sarà meno trambusto, salperemo anche noi. Penserò io a tutto, non devi
preoccuparti di nulla, solo di portare il culo sulla barca, credi di esserne
capace?" conclude guardandomi con un sorriso beffardo che mi lascia
totalmente senza parole. Veronique sembra accorgersene e interviene subito in
mio soccorso, dicendo di non prendermela, è il suo modo di far capire che gli
sono simpatico. Il resto della serata trascorre piacevolmente, forse con
qualche birra di troppo, e si conclude con la solenne promessa di uno sbronzo Jean
di portarmi su quell'isola, costi quel che costi. Divertito da quello che,
nonostante l'apparenza iniziale, si è rivelato una buon'anima, sto al gioco e
prometto solennemente di dargli il 10% del tesoro, nel caso in cui lo troviamo.
Infine Jean si accommiata leggermente barcollando, Veronique invece,
visibilmente sollevata dall'uscita di scena del suo molesto ospite, ne
approfitta per andare subito a dormire. Rimango solo con i miei pensieri,
incapace di realizzare che tra due giorni esatti, a quest'ora, sarà ormai tutto
finito. Sprofondo lentamente nel sonno, con l'immagine della nostra nave che
salpa verso un mare tempestoso e nebbioso.
sabato 19 aprile 2014
martedì 8 aprile 2014
Il messaggio nella bottiglia - nona parte
Vengo
svegliato dal delicato tintinnio di Veronique che prepara la colazione,
accompagnato dal delizioso profumo di pancake e sciroppo, come se tenendosi per
mano si fossero fatti la promessa solenne di giungere fino al mio letto,
insieme. Guardando il display della vecchia sveglia sul comodino scopro che
sono solo le sette e ventitre minuti. Il fatto che mi sia svegliato ad un'ora
così precisa e non, ad esempio, alle otto in punto, mi fa intuire che non sia
un caso e che sia giusto che mi alzi proprio in questo momento. Prima,
tuttavia, mi concedo qualche secondo per guardarmi intorno nella stanza in
penombra, immersa in una fantasmagorica luce bluastra che conferisce
l'impressione di trovarsi sul fondo dell'oceano. Consacrando questi brevi
istanti al dolce far nulla, scopro di essere felice. Probabilmente finora ho
avuto troppe cose su cui concentrarmi e riflettere per rendermene conto, ma
sono felice, euforico, vivo. Finalmente vivo, come quando da ragazzino sentivo
fin nel profondo del cuore che l'estate era vicina, e un'euforia simile ad un
urlo di gioia fuoriusciva in risposta a quella consapevolezza. Una felicità
semplice, quasi ingenua oserei definire, che non ha bisogno di soldi, successo
o effimera gloria per poter sussistere. Sono felice, ed è come per due amanti
ritrovarsi finalmente dopo aver percorso infinite strade solitarie e grigie per
cercarsi. Nell'intimità segreta di questa stanza immersa nell'oceano una
lacrima percorre il mio volto, nel suo piccolo travolgendo ogni cosa che
incontra. Essere felice è già una buona cosa, ma scoprire di essere felice è un
fatto che scuote le fondamenta dell'essere. Dopo aver lasciato che quell'unica
lacrima finisse il suo viaggio decido finalmente di alzarmi. Ovunque andasse,
qualunque cosa cercasse, spero che il viaggio di quella lacrima sia finito in
gloria. Vestendomi alla bell'è meglio indosso un paio di jeans scoloriti e una
maglietta a tinta unita nera, poi, seguendo l'aroma dei pancake, arrivo fino in
cucina. Sorrido al pensiero che quei jeans, due anni prima, me li avevano
venduti già scoloriti, senza concedere tempo al tempo stesso di scolorirli in
maniera naturale. Probabilmente sarebbero rimasti come nuovi, visto la vita
tranquilla e monotona che ho vissuto indossandoli. Nemmeno il mio viso è
invecchiato, dopotutto. In cucina incontro Veronique intenta a lasciare un
biglietto sul tavolo, molto probabilmente perché io lo leggessi più tardi. Quando
mi vede sussulta lievemente per lo spavento, evidentemente non si aspettava che
io mi svegliassi così presto, e con noncuranza accartoccia il biglietto e lo
butta nella spazzatura, come vergognandosi di averlo scritto. "Buongiorno",
dice con un sorriso entusiasta, quasi euforico, una frase così banale che
pronunciata da lei, in quel modo, suona come una promessa. La promessa che sarà
davvero una buona giornata, e personalmente non posso fare a meno di crederci.
Mi fa cenno di accomodarmi sulla tavola che ha apparecchiato per me e non mi
faccio certo pregare. Assaporo con calma i pancake che mi ha messo sul piatto,
completandoli con della marmellata e dello sciroppo d'acero, sorseggiando ogni
tanto dell'ottima spremuta d'arancia. Il loro profumo non smentisce la loro
fama, anzi, per certi versi era davvero riduttivo: sono davvero squisiti.
"Sai", inizia lentamente, come se volesse gustare a fondo l'importanza
di ciò che sta per dire, "pare che finalmente la tempesta stia per finire.
Il giornale di stamattina dice che entro due o tre giorni le autorità costiere
ripristineranno totalmente il trasporto marittimo. Molte navi di ogni tipo e
dimensione ripartiranno tutte insieme quel giorno, come corridori allo sparo
dello starter, e ti prometto che su una di quelle navi ci sarai anche tu"
conclude con un sorriso così splendido da squarciare le nuvole infuriate. Non
riesco a dire qualcosa di altrettanto importante, così esprimo goffamente la
mia riconoscenza e felicità, sperando che anche solo un pallido riflesso di
essa riesca a giungere alla sua coscienza. Improvvisamente, uno strano panico
mi colpisce come un gelido ceffone: non sono pronto. Pronto ad affrontare l'incognita
minaccia del gentiluomo, pronto a realizzare che il tesoro, finalmente, è così
vicino che se allungo una mano ne posso sentire il calore. Pronto anche solo ad
andare sull'isola, non ho preparato niente. "Come farò ad arrivare
sull'isola?" domando infine, sperando di non guastare la gratitudine,
"sai meglio di me che nessuno qui, a parte te, vuole avere a che fare con
me. Come riuscirò ad esse su una di quelle navi?" Anziché rabbuiarsi il
suo sorriso si accende di più, come un alunno orgoglioso che risponde
correttamente alla domanda trabocchetto della professoressa. "Credi che
non ci abbia pensato?", risponde senza smettere di sorridere, "ho già
in mente la soluzione, non ti preoccupare. Un mio vecchio amico è un pescatore,
come molti altri sull'isola. Siamo amici praticamente da sempre, vedrai che non
si rifiuterà di aiutarti. Fidati di me" concluse infine, come a debellare
ogni mio ulteriore dubbio. Abbagliato, non riesco a dire altro che un timido
"grazie" che esce dalla mia bocca spento e smussato, perdendo la
grandezza e la completezza che aveva quando era dentro di me. La sua unica
risposta è un sorriso sincero, affettuoso, come non mi sono mai stati rivolti
in vita mia. "E' tardissimo!" esclama lei riprendendo contatto col
mondo reale, fatto di lavoro e sacrifici, "devo andare ad aprire il
negozio, altrimenti in paese inizieranno a mangiare la foglia. Sono sospettosi
come quelle anziane che ti fissano severe dalle finestre delle case, come se
potessero tenere sotto controllo tutto quello che succede in questo folle
mondo. Immagino non serve che ti dica di non uscire di casa, no? Fai come fossi
a casa tua, ci sono tanti libri da leggere, il televisore funziona bene e ci
sono parecchie riviste, se ti interessano. Soprattutto, credo sia importante
che tu legga questo", raccomanda seria, dandomi un vecchio quaderno dalla
copertina rigida e spessa, di ottima fattura. Rimango un istante a guardarla
confuso e lei risponde subito alla mia muta domanda prima che potessi porla:
"è il diario di mio zio Phil. Sai, di quello che successe in quel periodo.
La polizia ce l'ha restituito qualche anno dopo, quando hanno chiuso le
indagini e archiviato il caso, dandolo per morto. Potresti scoprire qualcosa
che non sappiamo, chissà" aggiunse facendomi l'occhiolino. Con il quaderno
in mano la accompagno alla porta, e prima di andarsene mi bacia delicatamente
sulla guancia, prendendo una lieve scossa. "Scusa, deve essere la
tensione" mormoro imbarazzato. Lei si allontana ridacchiando, allegra come
un giardino ai primordi del mondo, quando tutto era ancora giovane, e
innocente. Un brivido mi pervade la schiena quando uscendo passa a fianco del
gentiluomo, senza vederlo. Lui, pur non visto, non può fare a meno che
togliersi il cappello in gesto di elegante saluto, poi rivolge lo stesso saluto
a me. Quando Veronique scompare dal mio campo visivo decido di entrare, se tra
pochi giorni la tempesta finirà dovrò farmi trovare pronto, e scoprire tutto
quello che questo vecchio quaderno ha da raccontare.
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