sabato 19 aprile 2014

Il messaggio nella bottiglia - decima parte




Le ore passate a leggere e rileggere il diario di Philippe trascorrono silenziosamente e senza posa, senza lasciare un particolare ricordo di sé alle spalle, come giovani amici nei cui occhi si può scorgere qualche sfocata immagine di un futuro lontano ma che non riescono a ricordare cosa hanno mangiato per pranzo. Le prime pagine del diario non mi danno nessuna informazione nuova, devo riconoscere che il racconto del vecchio Jacques, in quel infimo bar del porto, era più preciso di quanto potesse sembrare, quasi l'avesse vissuto in prima persona. Ogni tanto osservo furtivamente dalla finestra il gentiluomo nel grande giardino di Veronique, non sorprendendolo mai intento a fare qualcosa, bensì aspettando con compostezza e dignità il momento in cui, si suppone, verrà a prendersi la mia vita. Inspiegabilmente, nonostante la sorda minaccia della sua costante presenza, non riesco a provarne timore, né odio, né rabbia. Solamente una sorta di calma accettazione, come se la sua presenza qui sia del tutto naturale. Nel suo racconto Jacques accennava a qualcosa del genere, deve trattarsi di una qualche sorta di abilità del misterioso gentiluomo. Verso l'ora di pranzo Veronique fa una breve comparsata per pranzare insieme, come vip attempati che cercano in tutti i modi di non farsi dimenticare, e con mio grande sollievo porta anche del cibo per cani per Buck. Prepara un pasto veloce, dei panini imbottiti con carne affumicata, mostarda e pomodori che gustiamo con calma, parlando del più e del meno. "Hai scoperto qualcosa di interessante nel diario di zio Phil?" domanda poi lei pacatamente, come se parlasse del tempo. "Ancora niente che non sapessimo già", rispondo io pragmatico, cercando di far sprofondare nelle profondità del mio animo la frustrazione e la delusione di quella mattinata di infruttuosa ricerca. "Non ti arrendere", proclama lei sicura, infondendomi forza e coraggio, "non hai modo di sapere cosa stai cercando, ma vedrai che quando lo troverai non potrai fare a meno di riconoscere che è proprio ciò che cercavi. Continua a leggere, sento che è la cosa giusta da fare, forse l'unica che abbia davvero senso." Rincuorato dalle sue parole, finisco di mangiare il panino non pensando ad altro che a quel quaderno e alle sue risposte, così intensamente che sento già le sue rigide pagine scorrermi fra le dita. "E' ora che torni in negozio" mormora lei quasi malinconicamente, come ad esprimere quanto vorrebbe essere al mio fianco anziché dietro ad un bancone, nell'attesa di qualche cliente. Mi sono sempre domandato cosa facciano i commessi quando non ci sono clienti in negozio, quasi fosse uno dei più grandi misteri del cosmo. A volte me li immagino sospesi in una sorta di limbo, come se prendano vita solo quando qualcuno li osserva.  Sono quasi tentato di domandarglielo e risolvere così un dubbio che probabilmente attanaglia solo me, tuttavia mi limito a ricambiarle un delicato bacio sulla guancia, piacevole come una brezza estiva. Ha un modo particolare di baciarmi la guancia, sebbene sia un gesto molto casto e pudico, è al contempo più intimo e piacevole di qualunque bacio sulle labbra che abbia mai ricevuto. Non che ne abbia ricevuti molti in vita mia, per inteso. Il resto del pomeriggio trascorre anch'esso placidamente, senza che riesca a scoprire qualcosa di importante dal diario di Philippe. Qualunque cosa sia Veronique ha detto che l'avrei riconosciuta quando l'avrei trovata, come il vero amore, per cui non posso fare altro che portare pazienza. Nell'intimità della mia mente faccio un patto solenne con me stesso, ossia di smettere di sbirciare il gentiluomo dalla finestra, per non farla diventare un'ossessione. Dopotutto sarà lui a venire da me quando sarà il momento, quando tutta questa assurda storia volgerà al termine, prima di allora non ha senso preoccuparmene. All'imbrunire, quando l'ombra della grande quercia che si staglia solenne ma rassicurante al centro del giardino diventa molto più alta della quercia stessa, come fama che ingigantisce personaggi altrimenti mediocri, il rumore metallico della chiave che gira nella serratura mi annuncia che Veronique è di finalmente tornata. Non posso fare a meno di pensare che quella rigida serratura, che ora si dimostra così sicura e precisa, perderà ogni sicurezza e robustezza dinnanzi al gentiluomo, come artista tanto mediocre quanto borioso perisce sotto le parole di critici senza scrupoli.  Per quanto possa sembrare rassicurante, non potrà impedirgli di entrare. Dopo aver aperto la porta, Veronique entra in casa seguita da una figura più imponente, che sul momento non riesco a identificare, come fosse attorniata da una fitta nebbia. "Eccoci arrivati" esclama Veronique con voce entusiasta, quasi urlando, sempre illuminata da un meraviglioso sorriso del quale non so se ingelosirmi o esserne felice, non capendo se sia per lui o per me. L'uomo alle sue spalle avanza con un sorriso sornione tendendomi la mano e non riesco a fare a meno di squadrarlo dalla testa ai piedi, come a soppesarne la qualità. E' un uomo dal fisico robusto e al contempo asciutto, piuttosto alto, all'apparenza della stessa età di lei. Indossa un giaccone di cuoio marrone dall'aria piuttosto logora ma affascinante, con sotto una spessa camicia a quadri. Scendendo con lo sguardo scopro dei vecchi blue jeans scoloriti, diversi dai miei dal fatto che trasmettono la netta impressione che siano scoloriti davvero per l'usura, non mi sembra il tipo da comprarli già scoloriti. Infine degli scarponcini marroni in cuoio, anch'essi piuttosto usurati. Soffermandomi sul suo viso incontro i suoi occhi, grigi e freddi come il mare, e più in basso una barba incolta, che tuttavia lo rende più interessante. L'uomo mi stringe amichevolmente la mano, presentandosi come Jean. "E' il mio vecchio amico di cui ti parlavo", mormora sorridente Veronique, forse a mettere le cose in chiaro. "Molto piacere", esclama Jean con fare sornione, stringendomi la mano con forza che cerco in ogni modo di eguagliare, senza riuscirci. Ci accomodiamo sul divano in attesa che sia pronta la cena, sorseggiando due birre di importazione, quel tipo di birre che si tengono da parte per indefinite occasioni speciali che forse non giungeranno mai. "Quindi vai a caccia di tesori, vecchio mio?", domanda lui con fare amichevole, tuttavia quasi invadente. La sua domanda mi colpisce come un secchio di acqua gelata: Veronique ha condiviso con questo tizio l'intimità del nostro tacito segreto, stracciando come un poster di una band che ormai non si apprezza più la magia che ci univa. Pochi attimi di silenzio bastano per far intuire al suo attento amico la mia delusione, che tenta subito di rimediare dicendo "non te la prendere se mi ha detto tutta la verità, una volta arrivati sull'isola e cercato il tesoro mi sarebbe sorto qualche sospetto, non credi? Tanto valeva dirmelo subito. Inoltre ci conosciamo da una vita, non abbiamo segreti l'uno per l'altra." Seppur infastidito dall'ultima frase non posso fare a meno di dargli ragione. Veronique nel frattempo ci chiama per la cena con un allegro scampanellio, dove continuiamo il discorso. "Tra due giorni la tempesta sarà sparita del tutto, secondo le previsioni. In tarda mattinata, quando tutte le altre barche saranno salpate e ci sarà meno trambusto, salperemo anche noi. Penserò io a tutto, non devi preoccuparti di nulla, solo di portare il culo sulla barca, credi di esserne capace?" conclude guardandomi con un sorriso beffardo che mi lascia totalmente senza parole. Veronique sembra accorgersene e interviene subito in mio soccorso, dicendo di non prendermela, è il suo modo di far capire che gli sono simpatico. Il resto della serata trascorre piacevolmente, forse con qualche birra di troppo, e si conclude con la solenne promessa di uno sbronzo Jean di portarmi su quell'isola, costi quel che costi. Divertito da quello che, nonostante l'apparenza iniziale, si è rivelato una buon'anima, sto al gioco e prometto solennemente di dargli il 10% del tesoro, nel caso in cui lo troviamo. Infine Jean si accommiata leggermente barcollando, Veronique invece, visibilmente sollevata dall'uscita di scena del suo molesto ospite, ne approfitta per andare subito a dormire. Rimango solo con i miei pensieri, incapace di realizzare che tra due giorni esatti, a quest'ora, sarà ormai tutto finito. Sprofondo lentamente nel sonno, con l'immagine della nostra nave che salpa verso un mare tempestoso e nebbioso.

martedì 8 aprile 2014

Il messaggio nella bottiglia - nona parte



Vengo svegliato dal delicato tintinnio di Veronique che prepara la colazione, accompagnato dal delizioso profumo di pancake e sciroppo, come se tenendosi per mano si fossero fatti la promessa solenne di giungere fino al mio letto, insieme. Guardando il display della vecchia sveglia sul comodino scopro che sono solo le sette e ventitre minuti. Il fatto che mi sia svegliato ad un'ora così precisa e non, ad esempio, alle otto in punto, mi fa intuire che non sia un caso e che sia giusto che mi alzi proprio in questo momento. Prima, tuttavia, mi concedo qualche secondo per guardarmi intorno nella stanza in penombra, immersa in una fantasmagorica luce bluastra che conferisce l'impressione di trovarsi sul fondo dell'oceano. Consacrando questi brevi istanti al dolce far nulla, scopro di essere felice. Probabilmente finora ho avuto troppe cose su cui concentrarmi e riflettere per rendermene conto, ma sono felice, euforico, vivo. Finalmente vivo, come quando da ragazzino sentivo fin nel profondo del cuore che l'estate era vicina, e un'euforia simile ad un urlo di gioia fuoriusciva in risposta a quella consapevolezza. Una felicità semplice, quasi ingenua oserei definire, che non ha bisogno di soldi, successo o effimera gloria per poter sussistere. Sono felice, ed è come per due amanti ritrovarsi finalmente dopo aver percorso infinite strade solitarie e grigie per cercarsi. Nell'intimità segreta di questa stanza immersa nell'oceano una lacrima percorre il mio volto, nel suo piccolo travolgendo ogni cosa che incontra. Essere felice è già una buona cosa, ma scoprire di essere felice è un fatto che scuote le fondamenta dell'essere. Dopo aver lasciato che quell'unica lacrima finisse il suo viaggio decido finalmente di alzarmi. Ovunque andasse, qualunque cosa cercasse, spero che il viaggio di quella lacrima sia finito in gloria. Vestendomi alla bell'è meglio indosso un paio di jeans scoloriti e una maglietta a tinta unita nera, poi, seguendo l'aroma dei pancake, arrivo fino in cucina. Sorrido al pensiero che quei jeans, due anni prima, me li avevano venduti già scoloriti, senza concedere tempo al tempo stesso di scolorirli in maniera naturale. Probabilmente sarebbero rimasti come nuovi, visto la vita tranquilla e monotona che ho vissuto indossandoli. Nemmeno il mio viso è invecchiato, dopotutto. In cucina incontro Veronique intenta a lasciare un biglietto sul tavolo, molto probabilmente perché io lo leggessi più tardi. Quando mi vede sussulta lievemente per lo spavento, evidentemente non si aspettava che io mi svegliassi così presto, e con noncuranza accartoccia il biglietto e lo butta nella spazzatura, come vergognandosi di averlo scritto. "Buongiorno", dice con un sorriso entusiasta, quasi euforico, una frase così banale che pronunciata da lei, in quel modo, suona come una promessa. La promessa che sarà davvero una buona giornata, e personalmente non posso fare a meno di crederci. Mi fa cenno di accomodarmi sulla tavola che ha apparecchiato per me e non mi faccio certo pregare. Assaporo con calma i pancake che mi ha messo sul piatto, completandoli con della marmellata e dello sciroppo d'acero, sorseggiando ogni tanto dell'ottima spremuta d'arancia. Il loro profumo non smentisce la loro fama, anzi, per certi versi era davvero riduttivo: sono davvero squisiti. "Sai", inizia lentamente, come se volesse gustare a fondo l'importanza di ciò che sta per dire, "pare che finalmente la tempesta stia per finire. Il giornale di stamattina dice che entro due o tre giorni le autorità costiere ripristineranno totalmente il trasporto marittimo. Molte navi di ogni tipo e dimensione ripartiranno tutte insieme quel giorno, come corridori allo sparo dello starter, e ti prometto che su una di quelle navi ci sarai anche tu" conclude con un sorriso così splendido da squarciare le nuvole infuriate. Non riesco a dire qualcosa di altrettanto importante, così esprimo goffamente la mia riconoscenza e felicità, sperando che anche solo un pallido riflesso di essa riesca a giungere alla sua coscienza. Improvvisamente, uno strano panico mi colpisce come un gelido ceffone: non sono pronto. Pronto ad affrontare l'incognita minaccia del gentiluomo, pronto a realizzare che il tesoro, finalmente, è così vicino che se allungo una mano ne posso sentire il calore. Pronto anche solo ad andare sull'isola, non ho preparato niente. "Come farò ad arrivare sull'isola?" domando infine, sperando di non guastare la gratitudine, "sai meglio di me che nessuno qui, a parte te, vuole avere a che fare con me. Come riuscirò ad esse su una di quelle navi?" Anziché rabbuiarsi il suo sorriso si accende di più, come un alunno orgoglioso che risponde correttamente alla domanda trabocchetto della professoressa. "Credi che non ci abbia pensato?", risponde senza smettere di sorridere, "ho già in mente la soluzione, non ti preoccupare. Un mio vecchio amico è un pescatore, come molti altri sull'isola. Siamo amici praticamente da sempre, vedrai che non si rifiuterà di aiutarti. Fidati di me" concluse infine, come a debellare ogni mio ulteriore dubbio. Abbagliato, non riesco a dire altro che un timido "grazie" che esce dalla mia bocca spento e smussato, perdendo la grandezza e la completezza che aveva quando era dentro di me. La sua unica risposta è un sorriso sincero, affettuoso, come non mi sono mai stati rivolti in vita mia. "E' tardissimo!" esclama lei riprendendo contatto col mondo reale, fatto di lavoro e sacrifici, "devo andare ad aprire il negozio, altrimenti in paese inizieranno a mangiare la foglia. Sono sospettosi come quelle anziane che ti fissano severe dalle finestre delle case, come se potessero tenere sotto controllo tutto quello che succede in questo folle mondo. Immagino non serve che ti dica di non uscire di casa, no? Fai come fossi a casa tua, ci sono tanti libri da leggere, il televisore funziona bene e ci sono parecchie riviste, se ti interessano. Soprattutto, credo sia importante che tu legga questo", raccomanda seria, dandomi un vecchio quaderno dalla copertina rigida e spessa, di ottima fattura. Rimango un istante a guardarla confuso e lei risponde subito alla mia muta domanda prima che potessi porla: "è il diario di mio zio Phil. Sai, di quello che successe in quel periodo. La polizia ce l'ha restituito qualche anno dopo, quando hanno chiuso le indagini e archiviato il caso, dandolo per morto. Potresti scoprire qualcosa che non sappiamo, chissà" aggiunse facendomi l'occhiolino. Con il quaderno in mano la accompagno alla porta, e prima di andarsene mi bacia delicatamente sulla guancia, prendendo una lieve scossa. "Scusa, deve essere la tensione" mormoro imbarazzato. Lei si allontana ridacchiando, allegra come un giardino ai primordi del mondo, quando tutto era ancora giovane, e innocente. Un brivido mi pervade la schiena quando uscendo passa a fianco del gentiluomo, senza vederlo. Lui, pur non visto, non può fare a meno che togliersi il cappello in gesto di elegante saluto, poi rivolge lo stesso saluto a me. Quando Veronique scompare dal mio campo visivo decido di entrare, se tra pochi giorni la tempesta finirà dovrò farmi trovare pronto, e scoprire tutto quello che questo vecchio quaderno ha da raccontare.