Dopo che il semplice fatto di essere sotto al
getto bollente non fosse più così piacevole e divertente, iniziai a guardarmi
intorno e a studiare quello che era da poco diventato il mio universo:
studiai a lungo i numerosi flaconi di shampoo e bagnoschiuma, rimanendo deluso
dal fatto che fossero di marche totalmente sconosciute, molti perfino
completamenti privi di marche ed etichette. A casa mia tendenzialmente uso lo
stesso tipo di bagnoschiuma e lo stesso tipo di shampoo, che con gli anni ho
imparato a riconoscere e a preferire nell’immenso universo degli articoli da
bagno. Lì non ne trovai nemmeno l’imitazione di sottomarca della quale in
situazioni normali non avrei accettato neanche sotto pagamento. Rassegnato,
iniziati ad annusare uno per uno i prodotti lì presenti, convinto dentro di me
che non essendo di marca dovessero avere un profumo e una qualità tale che
nessuna azienda voglia prendersene il merito. Cazzo, se mi sbagliai. Quando
afferrai il primo, un denso liquido contenuto in una bottiglietta di plastica,
dalla forma totalmente ordinaria, e aprendo il tappo gli diedi una sospettosa e
diffidente annusata, immediatamente la mia mente riportò alla mente l’odore in
un campo di fragole, del sole cocente su un campo di spighe in un paesino
rurale sperduto e dimenticato e dell’affetto sincero e profondo che può provare
la madre terra per un albero o un muflone. Nella mia mente vidi una vecchia
signora con uno scialle e un bastone, seduta in veranda, a spaziare con lo
sguardo su uliveti e campi, accarezzando ogni frutto, albero, spiga e foglia
che le ha permesso di vivere abbastanza da avere le rughe. Inebriato da questo
profumo, che battezzai tra me e me “amore non diluito”, me ne versai avidamente
una generosa porzione sul palmo e me la spalmai su tutto il corpo, dalle
orecchie alla faccia allo spazio tra le dita dei piedi. Rimasi avvolto in
quell’abbraccio di profumo ed emozioni per quello che mi è sembrato un attimo o
un eternità, e sciacquarmi via quel sapone fu come dovermi separare da mia
madre. Ancora incredulo, provai stavolta uno degli shampoo, dal colore di
smeraldo acceso e qualche tonalità di giallo che non subito identificai.
All’olfatto, esso aveva il sentore di una pesca nella morbida e innocente mano
di una ragazza, giovane e fresca come un fiumiciattolo di montagna, di un amore
fresco e puro confessato solo con gli occhi e di risate spensierate. A questo
non volli dargli un nome: se lo avessi fatto avrebbe avuto il nome di lei, che
anni or sono amai e che tutto questo me lo fece respirare ogni istante. I miei
capelli riconobbero qualcosa di simile a loro nello shampoo, e non ne furono
aggrediti come un vetro opaco dal vetril, bensì fu come ritrovare un vecchio
amico, e sentii anni di prodotti chimici e cattive compagnie venire accomiatati
dai miei capelli. Trascorsi ore in questo modo, a godermi la scoperta di questi
due nuovi prodotti i quali, se reclamizzati in una pubblicità, probabilmente
sarebbero andati a ruba nel giro di due giorni. Passata ormai la prima euforia,
iniziai a domandarmi se non fosse il caso di tornarmene a casa, i primi
bagliori rosei in cielo mi fecero dedurre che erano giunte le prime ore del
mattino. L’idea di andarmene da lì fu dura da mandare giù, un sasso sarebbe
stato meno indigesto, tuttavia ero stato via tutta la notte senza neanche
avvisare e forse a casa sarebbero stati preoccupati, perciò contai fino a cento
e chiusi l’acqua. Subito il freddo che fino a quel momento avevo perfino
dimenticato invase la piccola cabina della doccia, facendomi rabbrividire e
tremare come un ossesso. In cerca di calore e sollievo aprii lo sportello e
uscii per cercare i miei vestiti, i quali però erano letteralmente dei pezzi di
ghiaccio, poiché buttati bagnati nella notte gelata. La macchina era ancora ad
un centinaio di metri e non potevo certo percorrerli nudo, sarebbe stata una
vergogna incredibile se qualcuno mi avesse visto. Il freddo penetrava sempre di
più nel mio corpo e le mani e i piedi erano già diventati bianchi come neve, e
altrettanto freddi. L’unica soluzione che potei trovare in quel momento di
panico e urgenza fu quella di tornare nella doccia e rimanerci, uscire avrebbe
significato come minimo una congestione, forse la morte, anche durante il
giorno. Sperando che durante il breve intervallo l’acqua della doccia fosse
rimasta calda, aprii lo sportello con la fretta di chi sta perdendo la partita
in televisione, entrai nella doccia e di nuovo un getto d’acqua bollente amava
il mio corpo. Lo amava senza remore, come ama tutti i corpi, che siano vecchi,
brutti o interisti. Ama tutti senza distinzione, a volte è l’unico che
accarezza e ama ogni parte del tuo corpo, che conosce come un marito conosce
l’affezionato corpo della moglie dopo 20 anni di matrimonio. Saranno state
ormai le prime ore gelide del mattino, quando stupidamente si pensa che il
mondo si risveglia solo perché siamo noi a farlo, e passata l’ebbrezza della
notte la stanchezza iniziava a farsi sentire. Ormai rassegnato all’idea di
essere diventato prigioniero in quel caldo abbraccio, cercai una posizione comoda
per riposare qualche ora, e la trovai rannicchiandomi sul fondo e appoggiando
la testa al sottile muro piastrellato, con il volto rivolto allo
sportello. Lentamente la mia mente cadde in un profondo sonno, cullato dal
dolce suono dell’acqua che scorreva impetuosa sul mio corpo. Da allora fu
difficile distinguere il sogno dalla vita reale:le visioni provocate dagli
articoli da bagno divennero più realistiche e le ore di veglia più confuse e
nebbiose. Credevo avrei patito la fame a causa di tutto il tempo passato senza
mangiare, ma non ne provai. Pensavo qualcuno avrebbe notato che c'era un tizio
che stava facendo la doccia all'aperto, o che semplicemente qualcuno mi avrebbe
cercato, ma niente. Eravamo solo io e la doccia. Durante il giorno decisi di
iniziare a provare uno shampoo, uno che mi ispirava particolarmente dal colore.
Era contenuto in un anonimo contenitore ed era di un bellissimo colore verde
scuro. Mi incuriosì molto la forma che si intravedeva all'interno del flacone,
ero quasi certo si trattasse di una ghianda. Dopo avere versato una generosa
dose di shampoo nella mia mano e essermela applicata sui capelli, capii che
quella volta qualcosa era diverso: dopo pochi secondi passati a strofinarmi i
capelli con quello strano shampoo iniziai ad avere dei forti capogiri, e svenni
poco dopo. Quando riaprii gli occhi fui molto confuso: non avevo la minima idea
di quanto tempo fosse passato, e soprattutto di dove fossi: mi trovavo in una
piccola radura, e fin dove poteva spingersi il mio sguardo vedevo solo una
fitta, misteriosa foresta. Fino a quel momento potevo dire di averne visti
parecchi, di boschi: mio padre mi portava spesso a funghi con lui, da bambino,
inoltre ne vidi molti altri andando in montagna in estate. Ma nessuno era come
quello. In ogni bosco in cui ero stato precedentemente era facile trovare un
qualche segno del passaggio dell'uomo, un mozzicone di sigaretta, una strada in
lontananza, una cartaccia. Lì non trovai niente di tutto ciò, era come se
quella foresta appartenesse ad un altro tempo, dove l'uomo ancora non esisteva.
Il cielo incombeva molto cupo. Non si udiva un suono. Ebbi la netta sensazione
di essere l'unico essere vivente nel raggio di chissà quanto. Fino a quel
momento la solitudine non mi aveva mai spaventato, anzi, ogni tanto la
ricercavo. In quella foresta, tuttavia, provai una grande tristezza all'idea di
essere il solo lì presente. Nessun animale, uccello, insetto, niente di niente.
Solo io e la foresta. Cosa facevo lì? Stavo sognando? Oppure qualcuno mi ha
trovato privo di coscienza e nudo sotto la doccia e mi ha portato, per qualche
motivo, in quella foresta? Mi guardai e notai di essere vestito di tutto punto.
Questo, tuttavia, non mi aiutava a capire dove finiva la realtà e iniziava il
sogno. Che importanza aveva, però? Cosa aveva senso in tutto questo? Decisi di
fare un giro intorno per verificare se ero veramente solo, tanto cosa avevo da
perdere? Camminai a lungo, ore, forse giorni. Come sotto la doccia la fame, la
sete e il sonno non mi attanagliavano. Non ricordavo nemmeno più cosa fossero.
Mi sentivo un essere di solo spirito, incorporeo ed effimero, tuttavia non mi
ero mai sentito più vivo in vita mia. La foresta era un posto irreale,
incredibile: nessun suono, nessuna traccia di vita animale, perfino io non ero esattamente
sicuro di trovarmi lì. L'aria era umida e intrisa di odore, l'odore dello
shampoo che avevo usato. Non saprei descriverlo bene, ma aveva un qualcosa di
vitale, come l’alito della madre terra, un misto di umidità, muschio, erba e
terra. Eppure c’era molto altro. Un odore squisito. Dopo tanto vagare giunsi in
un'enorme radura nel bosco. Finalmente, dopo tanto tempo, un tempo che mi
sembrò interminabile, rividi l'opprimente volta del cielo. Era nuvolo come la
prima volta che lo vidi, forse perfino di più. Notai al centro della radura un
masso ricoperto di muschio e decisi di appoggiarmici un poco, nonostante non
fossi stanco. Più mi ci avvicinavo, più notavo che quel masso era strano: aveva
la sagoma d'un uomo. Arrivato a pochi passi constatai che non mi ero sbagliato:
aveva proprio l'aspetto d'una statua d'uomo, interamente ricoperta di muschio
ed erbe. Poi aprì gli occhi. Rimasi a lungo a fissare quei profondi occhi blu,
sembravano aver visto qualunque cosa, dalle profondità del mare ai recessi del
cuore e della mente umana, dalla cima delle montagne alle infinite distese di
ghiaccio dell'Antartide, dal punto più recondito della foresta amazzonica alla
capanna sull’albero di un bimbo riservato e sognatore. Il suo volto aveva
un'età indefinibile, nonostante fosse ricoperto di rughe la sua espressione
sorniona poteva farlo sembrare un bambino. Provai subito un'istintiva fiducia
per lui, mi sentii come un bambino sperduto che viene salvato dal nonno. I suoi
occhi ebbero un guizzo e mi fece un rapido occhiolino, poi tornò serio e parlò.
Così disse la statua nella radura nella foresta misteriosa: "per quale
motivo pensi di essere qui? Quale strada, quale scelta ti ha portato in quella
doccia?" Motivo? Scelta? Adesso c'è un motivo preciso per cui io sia qui?
Adesso l'ho scelto io di essere qui? Confuso, risposi di non saperlo. La statua
rispose: "finché non scoprirai il motivo, non riuscirai mai ad andartene
via di qui. Cerca di capire. Non sei finito in questa foresta per caso, devi
solo accettare la verità." Detto questo, un sorriso mosse il volto
marmoreo della statua, dopodiché chiuse gli occhi e più non parlò. Di colpo fui
di nuovo solo. La solitudine era ancora più pesante di quanto non fosse prima
dell'incontro con la statua, il silenzio più opprimente. Avrei voluto
chiedergli tantissime cose, ma per quanto lo invocassi egli non riaprì i suoi
profondi occhi blu. Mi sentivo frustrato e nervoso, oltre che, giusto per
cambiare, confuso. Tuttavia qualcosa era cambiato. Ora avevo uno scopo, volevo
tornare a casa, rivedere i miei amici, i miei cari, perfino il tabaccaio un po'
stronzo vicino a casa venne ricordato, in quel momento, con malinconia. Volevo
tornare alla mia vita. Mi distesi sull'erba umida e chiusi gli occhi, non ero
stanco ma volli rimanere un poco a riflettere sul da farsi. Riaprii gli occhi
ed ero di nuovo nella doccia. Avevo un forte mal di testa ed ero confuso, ma mi
sentii vivo come non mai. Non mi stavo semplicemente limitando a sopravvivere,
come tendevo a fare fino a poco tempo prima. Intenzionato a non perdere tempo,
presi un nuovo flacone, piena di un liquido blu mare, molto luminoso. Ben
presto iniziarono i capogiri e ben presto chiusi gli occhi.
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