Non sono mai stato un temerario, una di quelle persone che
solleva la vita per le caviglie, la scuote e vede cosa ne viene giù. Le
opportunità di cambiamento, le cosiddette buone occasioni, mi hanno sempre
spaventato: per cercare un piccolo miglioramento si rischia di perdere tutto
ciò che si ha. Tutto ciò che ho
sempre cercato è una tranquilla, sicura stabilità: un lavoro normale, una casa
normale e una vita normale, senza né alti né bassi, ma lineare. Per molti può
sembrare monotona, o noiosa, ma nella mia piccola monotonia sono al sicuro, e
niente potrebbe mai stravolgerla. Forse. Sono due giorni che guardo fisso la
bottiglia trovata in spiaggia mentre portavo fuori il cane, come ogni giorno
alle 6 e mezza in punto. Non è tanto la bottiglia a suscitare in me tanto
interesse, e al contempo un forte timore riverenziale, purtroppo se ne trovano
tante abbandonate sulle nostre belle spiagge. Ciò che mi interessa è il suo
contenuto. Poiché al suo interno ho trovato un messaggio, come nei film. Un
messaggio molto conciso, e in molte parti illeggibile, ma quel poco che ho
letto è bastato a far crollare tutta la stabilità del mio mondo, il lavoro, la
casa, tutto. Il messaggio, per quel che si può leggere, recita: "naufragato
in un'isola sperduta e disabitata, alle coordinate 33°54′59″N 78°7′50″W.
Trovato immenso tesoro sepolto in un pozzo, lo darò in ricompensa a chiunque mi
porti via da qui." Firma e data sono illeggibili, come tante altre parti
del messaggio. Ma quelle che ci sono bastano. Bastano a scuotermi, a
scioccarmi, a farmi pensare e dubitare, seduto sulla mia poltrona a rimirare la
bottiglia. Se la storia del tesoro è vera, quella ricchezza eliminerebbe gran
parte della mia stabilità, o monotonia: non avrei più bisogno di lavorare,
probabilmente comprerei una casa più grande, e magari qualcuno che badi al mio
cane e lo porti fuori. La mia vita sociale e sentimentale potrebbero avere
anche loro una scossa, non sarei più così solo, ma uscirei a divertirmi tutte
le sere, e condividerei la mia fortuna con gli altri. Ho quarant'anni ormai e
alla mia età non è più così facile cambiare, specialmente per me. Quando ero
ragazzino vivevo nella convinzione che nulla della mia vita di quel periodo era destinato a durare: la scuola, gli amici, le lezioni di karate, di cui ero
febbrilmente appassionato, presto o tardi avrebbero preso commiato dalla mia
vita. E difatti fu così: la scuola finalmente finì, e mi resi conto solo
diversi anni dopo di quanto non fosse poi così male. Gli amici si sposarono,
dapprima un po' precocemente, a causa di gravidanze inaspettate e
indesiderate, poi con giusta cadenza,
fino a che l'ultimo incallito scapolone si rassegnò a tirar su famiglia.
Iniziarono a frequentarsi esclusivamente tra di loro, tra coppie sposate e
magari con figli, e senza che me ne accorgessi mi ritrovai solo. Forse era
giusto così. Perfino il karate, la mia grande passione, col tempo uscì dalla
mia vita. Col lavoro, gli impegni, la stanchezza che ormai la sera faceva sì
che passavo le serate a guardare programmi televisivi che annebbiavano il mio
pensiero razionale, lentamente ma inesorabilmente iniziai a frequentare le
lezioni sempre con minor frequenza, nonostante le esortazioni del mio maestro a
non lasciarmi andare. Lasciarmi andare a cosa, poi? Non c'è mai stato niente
che andasse effettivamente male, nella mia vita, semplicemente si era spento
qualcosa in me, qualcosa che non si è più riacceso. A questi pensieri inizio a
sudare freddo, e uno strano panico sgorga dal mio cuore come nera pece: è
davvero così che voglio vivere? Senza né alti né bassi, né sorprese, né dolori
ma neanche gioie? La bottiglia può essere la mia sola via di fuga da tutto
questo, la mia buona occasione, e temo ormai l'ultima. Quante ne ho ignorate
finora? Dopotutto cosa ho da perdere? Il mio squallido lavoro al call center,
dove un ragazzino che potrebbe essere mio figlio mi sta col fiato sul collo per
farmi vendere, e sorridere, ed essere convincente raggirando uno sconosciuto?
Certo, non guadagno nemmeno male, uno stipendio che mi permettere di vivere in
maniera dignitosa. Sempre che possa essere dignitoso subire una simile
vessazione psicologica da dei ragazzini per quattro soldi. Loro sembrano sempre
contenti del loro lavoro. Io, ora che ci penso, no. Alla mia casa non sono
affezionato, è del tutto impersonale e non ho vissuto niente di significativo
dentro le sue mura, giusto qualche sporadico flirt effimero come vapore. Improvvisamente ho la precisa sensazione che
non ci sia niente di importante nella mia vita, nessuno per cui valga la pena
di restare, niente da cui non riuscirei a separarmi a cuor leggero. Credo che
quando una persona realizza ciò non può rimanere indifferente. Vado in bagno
senza un preciso motivo, e mi fisso a lungo allo specchio. Posso sembrare
ancora un ragazzo, dopotutto, può darsi che una vita tranquilla e senza eccessi sia
complice del mio aspetto ancora ingenuo. Credo sia arrivato il tempo di
diventare un vero uomo e prendere in mano la mia vita. Così torno in salotto,
smanioso di agire, senza tuttavia sapere cosa fare. Il mio sguardo ricade sulla
bottiglia, e per qualche secondo mi ritrovo a fissarla con odio. Maledetta,
dannatissima bottiglia! Fino a due giorni fa ero così tranquillo e beato nella
mia monotonia, ed ora ogni mia certezza è venuta meno. Dalla bottiglia il mio
sguardo passa al mio cane, Buck, che mi fissa accucciato nel suo morbido
giaciglio. Ha una strana espressione, se così si può dire, dipinta sul muso: è
come se avesse compreso quello che sto passando e stia cercando di dirmi che
lui vuole restare al mio fianco, come sempre da più di sei anni ormai. Mi si
strugge il cuore di fronte alla sua espressione di muto e disperato dolore.
Buck è un labrador di sei anni e mezzo, sta con me da quando aveva poco più di
due mesi. E' una storia banale in realtà, come si può dire in generale della
mia vita: i cani di una coppia di amici avevano da poco avuto una cucciolata e
loro non potevano badare a tutte quelle benedette creaturine, così una di loro,
Buck, l'avevano affidata a me. Sulle prime ero piuttosto restio ad occuparmi di
qualcuno che avrebbe avuto bisogno di tante attenzioni, o forse facevo solo
finta. Quando me l'avevano messo tra le braccia ho capito che in realtà sarebbe
stato lui ad occuparsi di me, a farmi sentire meno solo, a farmi tirare avanti
in qualche modo. Da quel giorno vive a casa mia, rendendo la mia vita
quantomeno sopportabile. Mi avvicino a lui e lo accarezzo forte, mormorando:
"certo che vieni con me, stupidone!" Sembra tranquillizzarsi, e dopo
qualche carezza si allontana tranquillo, andando in cucina senza un particolare
motivo apparente. Sono ormai le 11 passate, e domani, essendo lunedì, dovrei
andare al lavoro. Dovrei. La parola "dovrei" frulla nella mia mente
come appunti gettati in una centrifuga: ci sono mille cose che potrei fare
domani, e andare a lavoro diventa lentamente l'opzione più improbabile. Che so,
potrei cambiare i mobili di casa, i mobili che ho mi sembrano improvvisamente
grigi e tristi. Potrei dipingere, tele di mille colori, e non solo tele:
pareti, oggetti, perfino l'automobile dipingerei, cancellando quarant'anni di
grigiore. Potrei anche scrivere un libro, senza un particolare argomento o una
trama, ma scrivendo quello che mi passa per la testa. Oppure potrei partire per
andare a salvare il tizio della bottiglia, e ottenere un immenso tesoro. Ecco,
questa mi suona bene. Entusiasta stappo uno spumante che riservavo per le
occasioni speciali e ne bevo una lunga sorsata, ridendo come un idiota. Ero un
idiota fino ad un minuto fa, che non ridevo mai, e non ero nemmeno capace di
godermi la vita. L'alcool mi dà subito alla testa, non sono mai stato un gran
bevitore e basta poco per rendermi alticcio. Ma va bene così. Molte grandi
decisioni sono state prese così, ubriachi e folli. In preda all'entusiasmo
corro al mio computer all'ultimo grido, costatomi un occhio della testa, per
capire dove si trova l'isola in base alle coordinate. Immettendo le coordinate
nel motore di ricerca indica una piccola isola al largo del Canada, sarà grande
poco più di due o tre chilometri. Sono un po' deluso, mi aspettavo un'isola
Caraibica dalla lussureggiante vegetazione, piena di fascino e mistero, invece
non sembra essere 'sto granché. Pazienza, dopotutto quello che conta è il
tesoro, dell'isola poco importa. Continuo a bere, l'entusiasmo cresce ma la
testa inizia a ciondolare. Buck mi guarda con scetticismo dalla sua cuccia,
come un genitore osserva il figlio mentre sta per commettere una bambinata. Il
Canada non è certo dietro l'angolo, dovrò dare fondo a tutti i miei risparmi, e
forse non basteranno. Magari posso vendere il computer, non ne ho certo
bisogno, dopotutto. Chiunque tu sia, amico mio, aspettami: sto venendo a
salvarti.
" semplicemente si era spento qualcosa in me, qualcosa che non si è più riacceso." Molto carino il racconto! Mi ha fatto riflettere molto su me stessa. Grazie.
RispondiEliminaGrazie mille!! :) credo sia qualcosa che, chi più chi meno, sperimentiamo tutti, è normale dopotutto. Grazie a te, mi ha fatto molto piacere il tuo commento, spero che i prossimi capitoli ti piacciano! :)
RispondiElimina