mercoledì 7 maggio 2014

Il messaggio nella bottiglia - undicesima parte





L'alba dell'ultimo giorno prima della partenza mi viene incontro a mezzogiorno, quando i miei occhi spenti si schiudono nella penombra della stanza. Adesso che posso contare le ore che rimangono percepisco il mio corpo e il mio animo come un guscio vuoto, privo di emozioni e pensieri. Potrebbe sembrare la classica calma prima della tempesta, ma sento che è qualcosa di più complesso, e al contempo basilare e naturale: forse è un primo accenno di ciò che avverrà presto. La morte, il nulla, scomparire. La percepisco echeggiarmi dentro, non spaventosa, dolorosa o fredda. Mi appare piuttosto come una malinconica e immobile assenza, come il binario della stazione dopo che il treno della propria amata è sparito all'orizzonte. Rimango qualche istante coricato a fissare, senza guardarlo, il soffitto della stanza, scavando e ricercando dentro di me la luce della felicità provata appena ieri, senza trovarla. Il guscio duro e cavo all'interno del mio cuore ostacola la mia ricerca, come se i sentimenti e le emozioni del mondo dei vivi fossero ormai precluse a me che, in parte, non vi appartengo più. Sono in bilico tra i due mondi, e ho assolutamente bisogno che qualcosa, dal mondo dei vivi, mi trascini con forza dall'altra parte. Un'ancora di salvezza. Improvvisamente sento il rigido guscio interiore incrinarsi sotto la spinta di qualcosa di immensamente potente che spinge dall'interno, come un pulcino che becca con forza il guscio per poter, finalmente, venire alla luce, e oltrepassare lo strano limbo tra i due mondi nel quale mi trovo anche io. Finalmente erompe, sbriciolando il guscio che stringeva il mio animo. Nella mia mente affiora il viso di Veronique, il suo sorriso, la sua risata, rompendo le catene del mio amore e sciogliendo il gelo che rendeva sterile e arido il mio cuore. Al suo seguito, come una lunga catena di persone che si tengono per mano, si susseguono una miriade di immagini e colori fantasmagorici, ricordi della mia gioventù, il volto di amici perduti col tempo, il mio maestro. L'altalena dove giocavo da piccolo, innumerevoli pomeriggi d'estate senza una nuvola a creare pensieri. Tante piccole luci che, viste da più lontano, ne formano una più grande e potente: la vita. Nuova speranza e vitalità pervade ogni cellula del mio corpo, spargendosi come spore di un soffione dalla cavità toracica dove prima risiedeva quel misterioso guscio. Incredulo ed euforico, mi alzo dal letto e mi cambio in fretta, indossando abiti puliti che odorano lievemente di sapone casereccio. Mi dirigo in cucina quasi correndo, determinato a cavare qualsiasi informazione utile dal diario di Philippe, anche a costo di usare la forza. Che gli piaccia o meno, sopravvivrò. Arrivato in cucina e preso il diario, tuttavia, il pensiero di Buck fuori da due giorni mi attraversa la mente come un fulmine, per cui decido di andare da lui. Giunto alla porta di casa la trovo aperta. Veronique, uscendo stamane, non può certo aver dimenticato la porta aperta. Tuttavia lo è, una verità così evidente e pesante da farmi cedere le gambe. Voltandomi lentamente scorgo, con la coda dell'occhio, il gentiluomo dignitosamente ritto in salotto. Nonostante ci siano un comodo divano e una ancor più comoda poltrona lui rimane in piedi, serio e ligio al dovere come una guardia reale. Per la prima volta decido di rivolgergli parola. "E' venuto a prendermi? E' già arrivato il momento, ora che ha aperto l'ultima porta?". Lui, stupito dalla mia domanda a bruciapelo, sgrana gli occhi come colpito da una secchiata di acqua fresca. "No, no, non è ancora giunto il momento. Rimane ancora una porta", risponde con un sorriso affabile, come un passante gentile a cui si chiede indicazioni. Le sue parole, tuttavia, non fanno altro che creare altri dilemmi, non risolvono nulla. Tuttavia mi concedono altro tempo, ed è quello che conta. Saluto il gentiluomo con un gesto della mano ed esco fuori, diario alla mano. Trascorro l'intera mattinata con Buck, cosa che sembra renderlo felice. Deve aver sentito la mia mancanza, e non posso fare a meno di sentirmi un po' in colpa. Ogni tanto leggo le pagine del diario, ormai mancano solo poche pagine per finirlo e non ho ancora trovato qualche informazione utile. Nonostante tutto, la speranza che pervade ogni fibra del mio corpo non mi fa preoccupare granché. Prima o poi troverò qualcosa, poco ma sicuro. Per pranzo Veronique fa una breve comparsata, mangiamo insieme delle cotolette di pollo con insalata, e parliamo del più e del meno. Pare che entrambi vogliamo vivere questa giornata in maniera più spensierata possibile. Mi confida che Jean è cotto di lei da quando erano ragazzini, lo ha sempre saputo, come se ne sono accorti da tempo in paese. L'unico che crede che sia il suo più grande segreto è lo stesso Jean, come se non si rendesse conto di quanto sia evidente. Non si è mai dichiarato, forse per consapevolezza di essere rifiutato, e a Veronique sta bene così, non gli ha mai dato speranze dopotutto. Non posso fare a meno di sentirmi infastidito, e al contempo rassicurato dal fatto che lei non ama quell'uomo, né nessun altro. Finito di mangiare torna al suo negozio, cancellando ogni malinconia dal nostro saluto sfiorandomi dolcemente le labbra con le sue, morbide e delicate. Quel singolo bacio mi ancora maggiormente al mondo dei vivi, trasportandomi alle più alte vette di euforia e felicità. Voglio vivere, vivere con lei, vivere per lei e grazie a lei. Ritorno, con la mente immersa in pensieri di un futuro felice, sul diario di Philippe, sedendomi sul prato vicino a Buck. Dopo un lauto pranzo a base di terribile cibo per cani è sonnacchioso e indolente come un adolescente dopo la scuola. Finalmente arrivo all'ultima pagina, dopo pagine e pagine di formule cancellate con decisi tratti di biro e parole frammentarie e sconnesse. Vi trovo una formula scritta in bella calligrafia, sottolineata più volte e incorniciata con una greca molto semplice, come quelle che facevo da bambino. Sembra essere importante, così la imprimo nella memoria come una fotografia, cercando in ogni modo di mantenerla integra nella mia mente. E' una formula complessa e formata da segni e caratteri a me sconosciuti, ma sento fin nel profondo del cuore che è di vitale importanza, e questo basta a stamparla nella mia memoria in maniera definitiva. Ora che ho finalmente finito di leggere il diario, posso ritenere conclusa la mia preparazione, così decido di passare le ultime ore di questo ormai soleggiato pomeriggio a giocare con Buck, spensierato. Mi sembra di essere tornato bambino, in quegli infiniti pomeriggi estivi senza nuvole né pensieri. Nessun pensiero. L'uomo che mi ucciderà è nel salotto di casa, io volo alto nei cieli inesplorati della felicità. Intorno alle sette Veronique fa ritorno a casa, e mi prepara una cena speciale, sostanziosa e deliziosa. Dopo cena, come se ci attraesse inevitabilmente a sé, finiamo nel suo letto. Un letto grande e morbido, forse fin troppo comodo per non addormentarcisi dolcemente, ma con lei al mio fianco è impossibile non rimanere sveglio. Iniziamo a baciarci, prima timidamente e esitanti (trovo che sia quasi miracoloso che alla nostra età ormai matura si possa ancora essere timidi nell'intimità), poi con più passione, ed euforia. I nostri corpi si avvicinano e si stringono, quasi fossero due metà di una stessa mela che vogliono tornare un'unica cosa. Era da moltissimo tempo che non entravo in intimità con una persona, e la mia paura più grande era essere goffo e impacciato, sarebbe stata una vergogna grandissima. Invece mi viene tutto spontaneo, naturale, come se fossi nato per baciarla, e amarla. L'euforia del momento sta per trascinarci ad un'intimità più profonda e completa, lei, sorridendo, mi ferma. "Dopo che sarai tornato", sussurra dolcemente, baciandomi ancora. "Così hai un motivo in più per tornare, no?" conclude sorridendo, illuminandomi ancora con la bellezza del suo sorriso. Così ci addormentiamo, felici e finalmente uniti, noncuranti del pericolo che dovrò affrontare domani, noncuranti di tutto. L'universo si riduce in questo letto, e nulla al di fuori di esso esiste più. Almeno per stanotte. 

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