venerdì 23 maggio 2014

Il messaggio nella bottiglia - l'inizio della fine


Photo by Kathleen Logan

Il sole, sorgendo, sgrana gli occhi stupito nel trovarci uniti al suo arrivo, come un fatto imprevisto nell'immenso ordine cosmico. Contro ogni legge fisica le nostre vite hanno iniziato ad orbitare l'una intorno all'altra, indissolubilmente legate in una danza perpetua. Secondo i patti Jean non sarebbe arrivato prima delle undici, in modo da partire quando tutte le altre navi sarebbero già salpate, così da non dare nell'occhio. "Rimani un indesiderato", disse due sera fa, con tono grave, "se qualcuno dovesse vederti sarebbe un gran casino. Non deve assolutamente succedere". Così, essendoci svegliati ben prima delle undici, passiamo diverse ore come sospesi in una bolla, essendo al contempo sia troppo tardi che troppo presto per fare qualunque cosa. Troppo tardi per prepararsi e premunirsi a tutto ciò che posso incontrare nel mio, sebbene breve, pericoloso viaggio. Troppo presto per pensare al dopo. Possiamo solo aspettare, e pregare che questa bolla scoppi presto, con lo scampanellio rivelatore dell'arrivo di Jean. L'unica precauzione che non posso fare a meno di prendere è trascrivere l'incomprensibile formula sottolineata ed evidenziata dell'ultima pagina di Philippe, come una sorta di arma segreta contro l'ignoto. Philippe evidentemente credeva nella sua importanza, e ci credo anche io. Devo crederci. Senza questa flebile luce di speranza, non avrei la forza di proseguire per la mia strada, rassegnandomi ad un'esistenza più sicura ma monotona. Come la mia vita precedente, che ormai mi spaventa a tal punto che, per sfuggirle, ho messo un oceano di distanza fra me e lei, e una buona metà del globo terracqueo. Un senso di timore perfino superiore a quello che provo per l'uomo che molto presto tenterà di prendersi la mia vita, senza che io abbia un modo preciso di impedirglielo. Solo una piccola speranza. Solo una piccola luce rischiara i miei passi, quel tanto che basta da non farmi percepire il freddo della notte, né il gelo della paura, né il vuoto baratro nel quale rischio di cadere.  Le ore trascorrono silenziosamente, senza lasciare traccia di sé nell'infinita spiaggia del tempo, come un'amante che, dopo una notte di passione, scivola furtivamente fuori dalla porta, fuori dalla tua vita. Finalmente, alle undici e mezza, l'improvviso trillo del campanello ci sussurra che il momento è arrivato, che Jean è qui, e non c'è più tempo per nulla. Ci salutiamo con leggerezza, scambiandoci un delicato bacio, come se stessi semplicemente andando in ufficio. Prima di andare mi porge un vecchio zainetto, logoro ma ricco di storie da raccontare, contenente leccornie e viveri vari preparati amorosamente da lei nelle vuote ore d'attesa. "Non credo che riuscirai a tornare prima di domani", mormora come a giustificarsi, "dovrai pur mangiare qualcosa, no?" "Grazie di cuore, davvero. Tornerò presto, promesso", rispondo consegnandole ogni parola inespressa con un ultimo bacio. L'ultimo di oggi, perlomeno. Jean, con la sua solita espressione sorniona di chi ha capito tutto, mi aspetta nel paradisiaco giardino, con un solo piccolo bagaglio. "Tutto quello che ci serve è già sulla barca", dice come a rispondere ad una domanda che ho solo pensato. "Bando alle smancerie, sbrighiamoci o ci fregheranno il tesoro da sotto il naso". Un ultimo cenno di saluto e siamo già in cammino verso il porto, attraversando la vacuità del paese accarezzato finalmente da un sole giovane e generoso. I nostri passi rimbombano per le vie deserte, creando in me l'illusoria convinzione che non esista più nessuno al mondo. Jean cammina al mio fianco, immerso in chissà quali pensieri, ragionamenti e paure. Riflesso nei suoi occhi mi sembra di scorgere il mare e il viaggio che tra poco intraprenderemo, come specchio di quel che succede nella sua mente. Finalmente giungiamo al porto, trovandolo ancor più deserto e abbandonato del paese, e mi stupisco di come qualche sera potesse essere così poco rassicurante e pericoloso. Alla luce del giorno, così abbandonato, mi suscita solamente una strana malinconia, come al vedere la casa dove si è trascorsa l'infanzia abbandonata e in sfacelo, i ricordi a marcire nella polvere. Con aria compiaciuta mi conduce fino alla sua barca, un peschereccio di una ventina di metri grigio e lurido, ma che ai suoi occhi sembra avere la maestosità del Titanic. "Benvenuto nel mio umile vascello", dice Jean accompagnando le parole ad un solenne gesto del braccio, invitandomi a salire. Il viaggio è semplicemente una noia totale. Circa tre ore di navigazione nella calma piatta dell'oceano, trascorse a parlare del più e del meno e sorseggiando lentamente del whiskey che Jean si è premunito di portare in due diverse fiaschette, come se senza non saremmo potuti partire. Quando scorgiamo finalmente la scura sagoma dell'isola, un isolotto di circa tre chilometri di lunghezza  i cui soli abitanti sembrano le alte e antiche conifere, il mio cuore compie un'acrobatica capriola nel petto. Ora è lì, posso vederla, posso toccarla, posso quasi sentire l'odore fresco dei pini giungere in una brezza sino a me. Come ultimo gesto prima di scendere a terra, ricercando noncuranza, mangio due panini alla pancetta e sottaceti preparati da Veronique. Infine Jean butta l'ancora ad una ventina di metri dalla costa, che poi percorriamo in un piccolo gommone a motore dalla lentezza snervante. "Ho portato delle pale e delle corde", racconta Jean, euforico, "come ogni caccia al tesoro che si rispetti dovremo scavare, no?". Annuisco divertito, coinvolto dall'entusiasmo dell'uomo col quale condivido questa strana avventura. Una volta giunti a terra decidiamo subito di esplorare il piccolo isolotto alla ricerca del fantomatico uomo che ha scritto il messaggio nella bottiglia. Dopo aver girovagato per il bosco, per le spiagge, per le basse alture rocciose dell'isola, scopriamo una piccola radura al centro del bosco, dove incontriamo di nuovo i raggi del sole prima oscurati dagli alti alberi. Al suo interno troviamo una piccola costruzione di fortuna, costruita con vari tronchi, rami e fronde degli alberi dell'isola. Sparsi lì intorno vari utensili, delle corde, una radio rotta e un diario reso ormai illeggibile dalla pioggia. Ma non è quello che ci interessa, non più dopo che i nostri occhi finalmente lo vedono, così netto e definito da non poter far finta di non averlo notato. Poco lontano dalla capanna di fortuna troviamo il cadavere di un uomo, gonfio e ormai piuttosto decomposto. Ci guardiamo per un lungo istante, attoniti, senza riuscire a dire nulla. Infine Jean, dimostrandosi poco debole di stomaco, gli si avvicina, notando un particolare che ad una prima occhiata non avevamo scorto, e da una tasca della giacca del morto estrae un foglio che pare sia stato risparmiato dalle intemperie. Con cautela, come se inconsciamente temessi che il cadavere riprenda viva e ci attacchi, mi avvicino a Jean, per scoprire insieme a lui cosa riveli quel foglio. Prima che potessi trarre una conclusione, la voce di Jean erompe entusiasta: "è una mappa! Una maledetta mappa!", grida euforico. "Il tesoro è seppellito ai margini della radura, proprio da quella parte", urla indicando in direzione di un punto poco lontano da noi. Colti dall'entusiasmo, o forse da bramosia, prendiamo le pale e le corde e corriamo a scavare, dimenticando il cadavere e tutto il resto. Scaviamo per diverso tempo, non so dire se mezz'ora o più, quando finalmente la mia pala impatta contro un corpo solido un paio di centimetri sotto il fondo della fossa profonda circa un metro e mezzo. Con la coda dell'occhio scorgo Jean che si affretta ad uscire, come se avessero buttato una bomba a mano nella fossa. Ma non è lui ad essere in pericolo. Voltandomi verso di lui, in cerca di spiegazioni, mi rendo conto di non averne bisogno: rivolta verso di me c'è la lucida e fredda canna di una pistola, impugnata da un irriconoscibile Jean.

1 commento:

  1. Grazie mille, sono molto felice che ti sia piaciuto avendoci messo molto impegno :) :) ormai è quasi finito, ma ho già pronti nuovi racconti per il futuro, più brevi e concisi :) stay tuned ;)

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