Vengo
svegliato dal delicato tintinnio di Veronique che prepara la colazione,
accompagnato dal delizioso profumo di pancake e sciroppo, come se tenendosi per
mano si fossero fatti la promessa solenne di giungere fino al mio letto,
insieme. Guardando il display della vecchia sveglia sul comodino scopro che
sono solo le sette e ventitre minuti. Il fatto che mi sia svegliato ad un'ora
così precisa e non, ad esempio, alle otto in punto, mi fa intuire che non sia
un caso e che sia giusto che mi alzi proprio in questo momento. Prima,
tuttavia, mi concedo qualche secondo per guardarmi intorno nella stanza in
penombra, immersa in una fantasmagorica luce bluastra che conferisce
l'impressione di trovarsi sul fondo dell'oceano. Consacrando questi brevi
istanti al dolce far nulla, scopro di essere felice. Probabilmente finora ho
avuto troppe cose su cui concentrarmi e riflettere per rendermene conto, ma
sono felice, euforico, vivo. Finalmente vivo, come quando da ragazzino sentivo
fin nel profondo del cuore che l'estate era vicina, e un'euforia simile ad un
urlo di gioia fuoriusciva in risposta a quella consapevolezza. Una felicità
semplice, quasi ingenua oserei definire, che non ha bisogno di soldi, successo
o effimera gloria per poter sussistere. Sono felice, ed è come per due amanti
ritrovarsi finalmente dopo aver percorso infinite strade solitarie e grigie per
cercarsi. Nell'intimità segreta di questa stanza immersa nell'oceano una
lacrima percorre il mio volto, nel suo piccolo travolgendo ogni cosa che
incontra. Essere felice è già una buona cosa, ma scoprire di essere felice è un
fatto che scuote le fondamenta dell'essere. Dopo aver lasciato che quell'unica
lacrima finisse il suo viaggio decido finalmente di alzarmi. Ovunque andasse,
qualunque cosa cercasse, spero che il viaggio di quella lacrima sia finito in
gloria. Vestendomi alla bell'è meglio indosso un paio di jeans scoloriti e una
maglietta a tinta unita nera, poi, seguendo l'aroma dei pancake, arrivo fino in
cucina. Sorrido al pensiero che quei jeans, due anni prima, me li avevano
venduti già scoloriti, senza concedere tempo al tempo stesso di scolorirli in
maniera naturale. Probabilmente sarebbero rimasti come nuovi, visto la vita
tranquilla e monotona che ho vissuto indossandoli. Nemmeno il mio viso è
invecchiato, dopotutto. In cucina incontro Veronique intenta a lasciare un
biglietto sul tavolo, molto probabilmente perché io lo leggessi più tardi. Quando
mi vede sussulta lievemente per lo spavento, evidentemente non si aspettava che
io mi svegliassi così presto, e con noncuranza accartoccia il biglietto e lo
butta nella spazzatura, come vergognandosi di averlo scritto. "Buongiorno",
dice con un sorriso entusiasta, quasi euforico, una frase così banale che
pronunciata da lei, in quel modo, suona come una promessa. La promessa che sarà
davvero una buona giornata, e personalmente non posso fare a meno di crederci.
Mi fa cenno di accomodarmi sulla tavola che ha apparecchiato per me e non mi
faccio certo pregare. Assaporo con calma i pancake che mi ha messo sul piatto,
completandoli con della marmellata e dello sciroppo d'acero, sorseggiando ogni
tanto dell'ottima spremuta d'arancia. Il loro profumo non smentisce la loro
fama, anzi, per certi versi era davvero riduttivo: sono davvero squisiti.
"Sai", inizia lentamente, come se volesse gustare a fondo l'importanza
di ciò che sta per dire, "pare che finalmente la tempesta stia per finire.
Il giornale di stamattina dice che entro due o tre giorni le autorità costiere
ripristineranno totalmente il trasporto marittimo. Molte navi di ogni tipo e
dimensione ripartiranno tutte insieme quel giorno, come corridori allo sparo
dello starter, e ti prometto che su una di quelle navi ci sarai anche tu"
conclude con un sorriso così splendido da squarciare le nuvole infuriate. Non
riesco a dire qualcosa di altrettanto importante, così esprimo goffamente la
mia riconoscenza e felicità, sperando che anche solo un pallido riflesso di
essa riesca a giungere alla sua coscienza. Improvvisamente, uno strano panico
mi colpisce come un gelido ceffone: non sono pronto. Pronto ad affrontare l'incognita
minaccia del gentiluomo, pronto a realizzare che il tesoro, finalmente, è così
vicino che se allungo una mano ne posso sentire il calore. Pronto anche solo ad
andare sull'isola, non ho preparato niente. "Come farò ad arrivare
sull'isola?" domando infine, sperando di non guastare la gratitudine,
"sai meglio di me che nessuno qui, a parte te, vuole avere a che fare con
me. Come riuscirò ad esse su una di quelle navi?" Anziché rabbuiarsi il
suo sorriso si accende di più, come un alunno orgoglioso che risponde
correttamente alla domanda trabocchetto della professoressa. "Credi che
non ci abbia pensato?", risponde senza smettere di sorridere, "ho già
in mente la soluzione, non ti preoccupare. Un mio vecchio amico è un pescatore,
come molti altri sull'isola. Siamo amici praticamente da sempre, vedrai che non
si rifiuterà di aiutarti. Fidati di me" concluse infine, come a debellare
ogni mio ulteriore dubbio. Abbagliato, non riesco a dire altro che un timido
"grazie" che esce dalla mia bocca spento e smussato, perdendo la
grandezza e la completezza che aveva quando era dentro di me. La sua unica
risposta è un sorriso sincero, affettuoso, come non mi sono mai stati rivolti
in vita mia. "E' tardissimo!" esclama lei riprendendo contatto col
mondo reale, fatto di lavoro e sacrifici, "devo andare ad aprire il
negozio, altrimenti in paese inizieranno a mangiare la foglia. Sono sospettosi
come quelle anziane che ti fissano severe dalle finestre delle case, come se
potessero tenere sotto controllo tutto quello che succede in questo folle
mondo. Immagino non serve che ti dica di non uscire di casa, no? Fai come fossi
a casa tua, ci sono tanti libri da leggere, il televisore funziona bene e ci
sono parecchie riviste, se ti interessano. Soprattutto, credo sia importante
che tu legga questo", raccomanda seria, dandomi un vecchio quaderno dalla
copertina rigida e spessa, di ottima fattura. Rimango un istante a guardarla
confuso e lei risponde subito alla mia muta domanda prima che potessi porla:
"è il diario di mio zio Phil. Sai, di quello che successe in quel periodo.
La polizia ce l'ha restituito qualche anno dopo, quando hanno chiuso le
indagini e archiviato il caso, dandolo per morto. Potresti scoprire qualcosa
che non sappiamo, chissà" aggiunse facendomi l'occhiolino. Con il quaderno
in mano la accompagno alla porta, e prima di andarsene mi bacia delicatamente
sulla guancia, prendendo una lieve scossa. "Scusa, deve essere la
tensione" mormoro imbarazzato. Lei si allontana ridacchiando, allegra come
un giardino ai primordi del mondo, quando tutto era ancora giovane, e
innocente. Un brivido mi pervade la schiena quando uscendo passa a fianco del
gentiluomo, senza vederlo. Lui, pur non visto, non può fare a meno che
togliersi il cappello in gesto di elegante saluto, poi rivolge lo stesso saluto
a me. Quando Veronique scompare dal mio campo visivo decido di entrare, se tra
pochi giorni la tempesta finirà dovrò farmi trovare pronto, e scoprire tutto
quello che questo vecchio quaderno ha da raccontare.
Stupendo! :)
RispondiEliminagrazie mille :) <3
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