martedì 8 aprile 2014

Il messaggio nella bottiglia - nona parte



Vengo svegliato dal delicato tintinnio di Veronique che prepara la colazione, accompagnato dal delizioso profumo di pancake e sciroppo, come se tenendosi per mano si fossero fatti la promessa solenne di giungere fino al mio letto, insieme. Guardando il display della vecchia sveglia sul comodino scopro che sono solo le sette e ventitre minuti. Il fatto che mi sia svegliato ad un'ora così precisa e non, ad esempio, alle otto in punto, mi fa intuire che non sia un caso e che sia giusto che mi alzi proprio in questo momento. Prima, tuttavia, mi concedo qualche secondo per guardarmi intorno nella stanza in penombra, immersa in una fantasmagorica luce bluastra che conferisce l'impressione di trovarsi sul fondo dell'oceano. Consacrando questi brevi istanti al dolce far nulla, scopro di essere felice. Probabilmente finora ho avuto troppe cose su cui concentrarmi e riflettere per rendermene conto, ma sono felice, euforico, vivo. Finalmente vivo, come quando da ragazzino sentivo fin nel profondo del cuore che l'estate era vicina, e un'euforia simile ad un urlo di gioia fuoriusciva in risposta a quella consapevolezza. Una felicità semplice, quasi ingenua oserei definire, che non ha bisogno di soldi, successo o effimera gloria per poter sussistere. Sono felice, ed è come per due amanti ritrovarsi finalmente dopo aver percorso infinite strade solitarie e grigie per cercarsi. Nell'intimità segreta di questa stanza immersa nell'oceano una lacrima percorre il mio volto, nel suo piccolo travolgendo ogni cosa che incontra. Essere felice è già una buona cosa, ma scoprire di essere felice è un fatto che scuote le fondamenta dell'essere. Dopo aver lasciato che quell'unica lacrima finisse il suo viaggio decido finalmente di alzarmi. Ovunque andasse, qualunque cosa cercasse, spero che il viaggio di quella lacrima sia finito in gloria. Vestendomi alla bell'è meglio indosso un paio di jeans scoloriti e una maglietta a tinta unita nera, poi, seguendo l'aroma dei pancake, arrivo fino in cucina. Sorrido al pensiero che quei jeans, due anni prima, me li avevano venduti già scoloriti, senza concedere tempo al tempo stesso di scolorirli in maniera naturale. Probabilmente sarebbero rimasti come nuovi, visto la vita tranquilla e monotona che ho vissuto indossandoli. Nemmeno il mio viso è invecchiato, dopotutto. In cucina incontro Veronique intenta a lasciare un biglietto sul tavolo, molto probabilmente perché io lo leggessi più tardi. Quando mi vede sussulta lievemente per lo spavento, evidentemente non si aspettava che io mi svegliassi così presto, e con noncuranza accartoccia il biglietto e lo butta nella spazzatura, come vergognandosi di averlo scritto. "Buongiorno", dice con un sorriso entusiasta, quasi euforico, una frase così banale che pronunciata da lei, in quel modo, suona come una promessa. La promessa che sarà davvero una buona giornata, e personalmente non posso fare a meno di crederci. Mi fa cenno di accomodarmi sulla tavola che ha apparecchiato per me e non mi faccio certo pregare. Assaporo con calma i pancake che mi ha messo sul piatto, completandoli con della marmellata e dello sciroppo d'acero, sorseggiando ogni tanto dell'ottima spremuta d'arancia. Il loro profumo non smentisce la loro fama, anzi, per certi versi era davvero riduttivo: sono davvero squisiti. "Sai", inizia lentamente, come se volesse gustare a fondo l'importanza di ciò che sta per dire, "pare che finalmente la tempesta stia per finire. Il giornale di stamattina dice che entro due o tre giorni le autorità costiere ripristineranno totalmente il trasporto marittimo. Molte navi di ogni tipo e dimensione ripartiranno tutte insieme quel giorno, come corridori allo sparo dello starter, e ti prometto che su una di quelle navi ci sarai anche tu" conclude con un sorriso così splendido da squarciare le nuvole infuriate. Non riesco a dire qualcosa di altrettanto importante, così esprimo goffamente la mia riconoscenza e felicità, sperando che anche solo un pallido riflesso di essa riesca a giungere alla sua coscienza. Improvvisamente, uno strano panico mi colpisce come un gelido ceffone: non sono pronto. Pronto ad affrontare l'incognita minaccia del gentiluomo, pronto a realizzare che il tesoro, finalmente, è così vicino che se allungo una mano ne posso sentire il calore. Pronto anche solo ad andare sull'isola, non ho preparato niente. "Come farò ad arrivare sull'isola?" domando infine, sperando di non guastare la gratitudine, "sai meglio di me che nessuno qui, a parte te, vuole avere a che fare con me. Come riuscirò ad esse su una di quelle navi?" Anziché rabbuiarsi il suo sorriso si accende di più, come un alunno orgoglioso che risponde correttamente alla domanda trabocchetto della professoressa. "Credi che non ci abbia pensato?", risponde senza smettere di sorridere, "ho già in mente la soluzione, non ti preoccupare. Un mio vecchio amico è un pescatore, come molti altri sull'isola. Siamo amici praticamente da sempre, vedrai che non si rifiuterà di aiutarti. Fidati di me" concluse infine, come a debellare ogni mio ulteriore dubbio. Abbagliato, non riesco a dire altro che un timido "grazie" che esce dalla mia bocca spento e smussato, perdendo la grandezza e la completezza che aveva quando era dentro di me. La sua unica risposta è un sorriso sincero, affettuoso, come non mi sono mai stati rivolti in vita mia. "E' tardissimo!" esclama lei riprendendo contatto col mondo reale, fatto di lavoro e sacrifici, "devo andare ad aprire il negozio, altrimenti in paese inizieranno a mangiare la foglia. Sono sospettosi come quelle anziane che ti fissano severe dalle finestre delle case, come se potessero tenere sotto controllo tutto quello che succede in questo folle mondo. Immagino non serve che ti dica di non uscire di casa, no? Fai come fossi a casa tua, ci sono tanti libri da leggere, il televisore funziona bene e ci sono parecchie riviste, se ti interessano. Soprattutto, credo sia importante che tu legga questo", raccomanda seria, dandomi un vecchio quaderno dalla copertina rigida e spessa, di ottima fattura. Rimango un istante a guardarla confuso e lei risponde subito alla mia muta domanda prima che potessi porla: "è il diario di mio zio Phil. Sai, di quello che successe in quel periodo. La polizia ce l'ha restituito qualche anno dopo, quando hanno chiuso le indagini e archiviato il caso, dandolo per morto. Potresti scoprire qualcosa che non sappiamo, chissà" aggiunse facendomi l'occhiolino. Con il quaderno in mano la accompagno alla porta, e prima di andarsene mi bacia delicatamente sulla guancia, prendendo una lieve scossa. "Scusa, deve essere la tensione" mormoro imbarazzato. Lei si allontana ridacchiando, allegra come un giardino ai primordi del mondo, quando tutto era ancora giovane, e innocente. Un brivido mi pervade la schiena quando uscendo passa a fianco del gentiluomo, senza vederlo. Lui, pur non visto, non può fare a meno che togliersi il cappello in gesto di elegante saluto, poi rivolge lo stesso saluto a me. Quando Veronique scompare dal mio campo visivo decido di entrare, se tra pochi giorni la tempesta finirà dovrò farmi trovare pronto, e scoprire tutto quello che questo vecchio quaderno ha da raccontare. 

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