giovedì 27 marzo 2014

Il messaggio nella bottiglia- ottava parte

Fonte: http://www.fantastictraveling.com/15-beautiful-japanese-garden-photos/

Mi conduce fino ad una villetta in periferia abbracciata dolcemente da un vasto giardino lussureggiante: entrandoci e spaziando con lo sguardo vedo innumerevoli fiori di varietà che non avevo mai visto, alti alberi nodosi dall'ombra accogliente e un piccolo laghetto popolato da ninfee. Appesa ad un grosso ramo dondola lievemente una grande ruota, facendomi sentire nostalgia della mia infanzia. Ogni cosa conferma il buon gusto della bellissima ragazza che, immagino, l'abbia ideato e curato nei minimi particolari. Questo piccolo eden sembra essere frutto di un'intelligenza superiore, un miscuglio di innumerevoli piante, fiori ed alberi completamente differenti che tuttavia, nell'insieme, formano un'immagine molto coerente. Nella mente mi immagino lei in un caldo pomeriggio estivo, a leggere un libro sotto le accoglienti fronde della grossa quercia, o sul vecchio dondolo bianco sulla veranda al tramonto. Provo una lieve sensazione di piacevole malinconia, quella che si prova al termine di una giornata davvero speciale e intensa. Prima di entrare in casa la ragazza mi dice che volendo posso lasciar libero Buck di farsi un giretto in giardino, così lo sguinzaglio per poi seguirla dentro. "Scusa il disordine", esordisce banalmente lei, "ti posso offrire del the?". Non sono mai stato un amante del the, preferendo di gran lunga un bel caffè macchiato freddo, ma lo accetto riconoscente. Rimaniamo qualche secondo in silenzio a sorseggiare il the bollente, come ad assaporare il momento in cui le carte sono ancora coperte. "Probabilmente ti starai domandando come mai, nonostante l'intero paese abbia deciso di non volere avere nulla a che fare con te, ti abbia offerto di rimanere qui", inizia lentamente, assaporando ogni singola parola come cercando di prendere tempo. "Si, in effetti è così", rispondo io sinceramente, facendole affiorare un lievissimo sorriso. "Innanzitutto mi presento: mi chiamo Veronique Legrand", dice tendendomi la mano, che stringo delicatamente, come qualcosa di prezioso ma altrettanto fragile, "probabilmente il mio cognome non ti dice nulla, ma è molto vicino ad un'altro che hai sentito di recente. Mi riferisco a Roux, Philippe Roux. Phil è, o meglio era, l'unico fratello di mia madre, più giovane di lei di quattro anni". A questa notizia non posso fare a meno di sgranare gli occhi. Un luogo comune delle mie parti sostiene che il mondo è piccolo, e se il mondo è piccolo, infinitamente più piccolo è questo paesino in Canada. Tuttavia è davvero una bella coincidenza che la ragazza che tanto mi ha fatto battere il cuore in quella spiaggia, e che ora mi ha condotto qui, è la nipote di Philippe Roux. "Sai, quando c'è stata quella specie di riunione di paese, stamattina presto, ho subito deciso che ti avrei dato la possibilità di restare, se tu lo desiderassi", riprende subito, senza lasciarmi il tempo di dire le banalità che avevo in mente, "senza nessuna ragione in particolare. Ovviamente desidero aiutarti ad affrontare quel demone, e inizialmente pensavo che volessi aiutarti semplicemente per vendetta. Io ero molto piccola, e sebbene non ricordi quasi per nulla lo zio Phil, il dolore della sua perdita ha avuto un'eco lungo fino ad oggi. Fino a domani, come direbbe mia madre. Tuttavia non è solo per vendetta che desidero aiutarti". Le sue parole smorzano il mio respiro e aumentano i battiti del mio cuore come una dichiarazione d'amore. Rimane in silenzio ad osservarmi enigmatica con i suoi grandi occhi castani, come a cercare insieme a me un significato a ciò che ha appena detto. "Come mai mi aiuti, allora?", domando esitante, in cerca ma al contempo intimorito da ciò che potrebbe rispondere. "Te l'ho detto, non lo capisco nemmeno io", rispose in un sospiro. Nel frattempo finisco il mio the, e, vista la temperatura piuttosto mite, le propongo di sederci nella comoda sedia a dondolo che ho visto in veranda. Dalla quella comoda postazione posso vedere Buck che insegue abbaiando dei piccioni, sembra divertirsi un mondo. "Senti", mormora lei, arrossendo, "visto che siamo sulla stessa barca, credo sia giusto che mi racconti come mai ti trovi qui, non credi? Come posso aiutarti se non mi dici la verità?".  "Hai ragione", rispondo io, sentendomi un po' in colpa per non aver iniziato il discorso di mia iniziativa, "sappi però che è una storia lunga". "La giornata è ancora lunga", risponde lei sorridendo, "il demone non si è ancora fatto vivo e oggi il mio negozio è chiuso, abbiamo tutto il tempo che desideriamo". Sorridendo a mia volta inizio a raccontarle tutto, cercando senza riuscirci di essere il più lineare possibile. Le racconto del messaggio nella bottiglia, del tesoro, del mio lavoro frustrante e dei miei sogni dimenticati in un cassetto polveroso. Lentamente srotolo sotto i suoi occhi la lunga matassa che è la mia vita, stupendomi io stesso di quante cose avessi dimenticato. Anche lei si sbottona, parlandomi della sua passione per il disegno, del suo negozio di fiori e dei suoi che girano il mondo, cercando null'altro che una nuova meta. Restiamo così a parlare per ore, con l'impressione che, per quanto cerchiamo di essere concisi ed evitare discorsi inutili, il tempo non basterà mai per dire tutto ciò che vogliamo. Insieme troviamo un'intesa profonda e mistica, come due pezzi completamente diversi del puzzle del mondo che tuttavia si incastrano alla perfezione. Torniamo al discorso iniziale che ormai tramonta il giorno nel piccolo giardino dell'eden. "Ora che sai tutta la mia storia, sei ancora sicura di volermi aiutare?", domando guardandola negli occhi, cercando una risposta intelligente ad una domanda che, col senno di poi, era veramente stupida. "Ricapitolando", rispose lei seria, "tu sei venuto qui, dall'altra parte del mondo, perché hai trovato un messaggio in una bottiglia sulla spiaggia. Hai mollato tutto per un messaggio che potrebbe benissimo essere uno scherzo, oppure potrebbe aver navigato nell'oceano per anni prima di che lo trovassi. Tutto questo nonostante il pericolo di quel terribile demone.  Ti rendi conto che suona folle?", conclude infine con sguardo accigliato. "So che può sembrare folle", rispondo abbassando lo sguardo, colpito nel vivo dalle sue parole, "ma non sono mai stato così convinto di qualcosa in vita mia. Tutto il resto non ha mai avuto senso, e ho dovuto realizzarlo appieno solo quando ho trovato quella bottiglia. Tornare alla mia vecchia vita, senza direzione e senza senso, mi spaventa molto di più di qualsiasi demone". Senza dire niente mi prende la mano e la stringe dolcemente, come a infondermi forza. "Dai, ora rientriamo, sta per fare buio", dice sorridendo, addolcita dalle mie parole, "ceniamo e poi dritti a dormire, domani sarà una lunga giornata, dovremo trovare un modo per farti arrivare su quell'isola" Prima di entrare riesco a scorgere, nonostante la scarsa luce, la sagoma del gentiluomo in piedi vicino al laghetto, che si toglie elegantemente il cappello in gesto di saluto. Senza che me ne fossi accorto, l'incubo è già iniziato. 

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