venerdì 21 febbraio 2014

Il messaggio nella bottiglia - quinta parte

Photo by Sabatino di Giuliano 


I tre uomini mi circondano minacciosi senza proferire parola, come se non cercassero né spiegazioni né giustificazioni per quanto stanno per fare. Non ne hanno bisogno, è così ovvio che altrimenti sarebbe stata un'offesa alla mia intelligenza. Mi sono sempre domandato cosa si provi in situazioni così spiacevoli, e purtroppo stanotte trovo la risposta: niente, assolutamente niente. L'adrenalina e la paura annebbiano e intorpidiscono la mia mente come valeriana a tal punto che non riesco effettivamente a provarla, la paura. Mi rendo conto di esserne pregno dal tremolio delle mie mani e dal mio fiato corto, tuttavia la mia mente è totalmente vuota, come in trance. Vorrei pensare a qualcosa, qualunque cosa, per svicolare questa brutta situazione, ma non riesco a pensare. La mia mente deve trovare la situazione più noiosa che pericolosa, e decide di allontanarsi dal mio corpo per tornare ad un tranquillo pomeriggio d'estate di tanti anni fa. Io e alcuni altri allievi siamo seduti intorno al nostro maestro, sul prato antistante il dojo. Un maestro, di qualunque tipo, si riconosce facilmente: è la persona alla quale tutti prestano volentieri orecchio quando parla, qualunque sia l'argomento. Così facemmo noi quel tranquillo pomeriggio, oziosi e pigri dopo una mattina di intenso allenamento. Sapete, ragazzi", iniziò il maestro con tono confidenziale, come a raccontarci un segreto, "il leone, in realtà, non si meriterebbe affatto il titolo di "re della foresta". Nel suo habitat non è l'animale più grosso, né il più forte, né il più veloce. Tuttavia, ogni volta che combatte, non viene mai sconfitto. Mai. Vi siete mai chiesti il perché?" chiese guardandoci negli occhi, con un sorrisetto furbo che gli solcava il viso di rughe come dune nel deserto. "Perché conosce il karate?", rispose scherzosamente un allievo, un giovanotto tanto talentuoso quanto indolente, che trovavo piuttosto odioso. Ci fu una grande risata, a cui prese parte il maestro, e per un istante fummo tutti uguali, senza né gradi né differenze. "No, ovviamente no", rispose poi lui, tornando serio e solenne, "è principalmente perché il leone attacca solo animali che è sicuro di poter abbattere. Se tentasse con un elefante verrebbe schiacciato in un attimo. Egli non cerca la gloria, non le grandi imprese o il coraggio, vuole solo riempire la pancia, e in quello nessuno è meglio del leone. L'uomo, per certi aspetti, gli è simile. Sappiate che, se verrete mai attaccati da malintenzionati, quasi certamente egli è certo di potervi sconfiggere. Ricordatevelo sempre, può sembrare un fatto di poco conto, ma è fonte di grande sicurezza e forza, come di grande debolezza." Allora è così, per questo non parlano: ho a che fare con dei leoni. Non sono ancora del tutto tornato da quel tranquillo pomeriggio d'estate che mi ritrovo per terra, colpito dalla zampata del leone. La cosa buffa è che, a causa dell'adrenalina, continuo a non provare nulla, nemmeno il dolore. Sono come anestetizzato. Il dolore, quello vero, verrà poi. Sempre che non mi uccidano. Resto del tutto inerte mentre vengo continuamente colpito, dalla forte sensazione di calore che percepisco alla tempia e al naso deduco che stia perdendo sangue. Credo sia la fine, anche se non riesco a sentire nemmeno lei. Delle immagini confuse della mia vita scorrono davanti ai miei occhi, come a ricercare, nella memoria, qualche modo per scampare alla morte. Riesco solo a ricordare il nome di quella bimba dal caschetto castano che mi piaceva all'asilo, e della quale mi ero completamente scordato. La strategia per battere il boss finale in un vecchio videogioco della mia infanzia. Le istruzioni di sicurezza dell'aereo. Niente su come scampare alla morte, maledizione. Vedo i miei stessi occhi guardarmi confusi e increduli a pochi centimetri dai miei. Rimango qualche istante a fissarli senza capire, poi il mio campo visivo si allarga e scopro la più ovvia e cruda verità: erano i miei occhi riflessi nella lucente lama di un coltello, messo in bella mostra dal sogghignante leone come un figlio dotato. Non riconosco la fine finché non mi è a pochi centimetri dal volto, e mi guarda con i miei stessi occhi. Posso vedere entrambi i nostri sguardi, il mio spento e rigido, il suo compiaciuto e al contempo feroce. Gli altri due leoni osservano la scena in silenzio, pronti ad intervenire se anche solo provassi a reagire, senza abbandonarsi ad atti denigratori o provocatori nei miei confronti. Sembrano persone molto serie in quello che fanno, e in qualche modo mi viene naturale provare una punta di rispetto nei loro confronti. Proprio mentre la fatale lama sta per calare sul mio inerte corpo, talmente inerte da essere già morto, il suo sguardo cambia. Non riesco ad immaginare cosa possa farlo cambiare proprio ora che sta per concludersi tutto, cosa possa rompere la sua concentrazione e determinazione. In un attimo il suo peso, che fino ad ora incatenava il mio corpo al suolo, diventa meno opprimente, per poi sparire del tutto quando si solleva e si allontana da me di qualche passo. Nei suoi occhi una paura cieca, irrazionale, come avesse visto Lucifero in persona che, vestito da vigile e con tanto di paletta in mano, gli fa cenno di accostare. Seguo il suo sguardo fino all'orizzonte e allora, finalmente, lo vedo: un uomo distinto, si direbbe piuttosto anziano, si staglia in controluce in lontananza. E' piuttosto lontano, ma basta la sua figura indistinta per mettere in allarme i leoni, come una scura nuvola all'orizzonte promette tuoni e fulmini. Nonostante ne scorga solo la sagoma, deduco che è vestito molto elegantemente, con tanto di bombetta e bastone da passeggio. Vorrei urlare qualcosa, dirgli di fuggire, ma la tensione blocca la mia voce in profondità, prima ancora delle corde vocali, molto più giù. D'altronde non credo riuscirebbe a sfuggire. Approfittando della loro distrazione mi rialzo e mi guardo intorno: sono spariti. Li scorgo in lontananza che fuggono terrorizzati, inciampando l'uno sull'altro e spintonandosi. E' bastata la sagoma nera in lontananza di quel gentiluomo a sgretolare tutta la loro fredda e composta determinazione, come un fuoco ha allontanato e spaventato i leoni. Una forte nausea stringe come una morsa le mie viscere, come a segnalare che ho ripreso possesso del mio corpo. Anche il dolore inizia a farsi sentire, sebbene ancora vago e anestetizzato. L'uomo si avvicina e sento finalmente di potermi rilassare e abbandonare, perdo i sensi mentre le sue mani nerborute mi afferrano sotto le ascelle e mi sollevano con facilità. Mi risveglio nel pavimento in legno marcio di una fumosa e lercia bettola, deve trattarsi del bar che avevo scorto in lontananza. Realizzo di essere salvo, e sono così sollevato e contento che mi viene da piangere. C'è un forte silenzio nell'aria, e mi accorgo che tutti mi fissano cupi e seri, come una equipe di medici osserva un malato incurabile. Poi finalmente un uomo robusto sulla settantina, vestito pesantemente con un giaccone di flanella, pantaloni logori e stivali, mi domanda: "l'hai visto? L'hai visto davvero? Mi riferisco ad un uomo sulla settantina, vestito come un gentiluomo, con bombetta e cappello. E' lui che ti ha portato qui? Rimango un secondo in silenzio, a studiare l'espressione cupa dell'uomo, la grigia barba ispida che cela un volto che non deve sorridere molto spesso. "Sì", rispondo infine, sospirando, "quell'uomo mi ha salvato la vita, ero stato assalito da tre malintenzionati e sarei rimasto ucciso, se non fosse stato per lui. Non so come, ma la sua presenza è bastata a metterli in fuga. E' un poliziotto, o qualcosa del genere?". I suoi occhi hanno un rapido guizzo, poi si volgono in basso a destra, come a riportare alla mente un ricordo. Un ricordo doloroso. "No, ragazzo mio", risponde mesto, "siediti qui e ascoltami, devo raccontarti una storia molto importante. Temo tu sia caduto dalla padella nella brace: sei in grave pericolo, e nessuno potrà aiutarti, stavolta." L'uomo mi fa accomodare su un tavolino in disparte e ordina due birre, domandandomi poi cosa volessi. Ordino una birra anche io e aspetto che inizi a raccontare. "Come ti ho detto, sei in grave pericolo, figliolo. Quell'uomo è un demonio, o qualcosa di altrettanto diabolico e pericoloso, e se si è mostrato a te temo non avrai vita lunga ". 

3 commenti:

  1. ciao ho letto il racconto bello sei bravo, i miei complimenti. Credo che quando pubblicherai il resto verrò a leggere. Se ti va vuoi leggere il mio ne sto scrivendo uno. Lo trovi qui:
    http://lettorenonpercaso.blogspot.it/2014/02/il-mistero-del-manoscritto-20-episodio.html
    buona serata, ciao. Dimenticavo le buone maniere, mi chiamo Marta. ;)

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    1. Ciao Marta
      ho letto il tuo racconto e mi piace molto, sei molto brava. La storia è originale e coinvolgente, complimenti! :)

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  2. Ciao, grazie mille per i complimenti, mi fa molto piacere! :) Spero ti piacerà! Lo leggerò molto volentieri, grazie. Molto piacere, io sono Marco. Buona giornata! :)

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